Acab: il “romanzo” dei giorni dell’odio

Paura, adrenalina, botte, corse, anfibi, manganelli, cariche. E di nuovo corse, ancora paura e urla. Odio. Per le divise, per le “guardie”, per gli stranieri, per i padri e per le leggi, odio per il mondo intero. È un “romanzo poliziesco” la versione cinematografica di ACAB, il libro di Carlo Bonini portato sullo schermo da Stefano Sollima. Un “romanzo di genere”, scritto con la macchina da presa piazzata dall’altra parte della barricata a

mostrare come vivono e cosa pensano quelli che stanno dietro gli scudi e le visiere quando in piazza e negli stadi scoppia il finimondo. Loro, i celerini del reparto mobile, a cui è cucito addosso il “bastard” dell’acronimo, sono i protagonisti del libro e del film che segna ora l’esordio sul grande schermo del “padre” della serie televisiva Romanzo Criminale. Un’opera con cui il regista tenta di replicare, in qualche modo, sul grande schermo lo stile già apprezzato sul piccolo, con i personaggi tratti dal Romanzo di De Cataldo. Qui il compito è, per molti versi, più complesso perché il libro di Bonini ha una struttura narrativa complessa e la squadra di sceneggiatori di Sollima si trova a dover condensare in poco meno di due ore il lavoro che in tv aveva invece potuto dilatare, trovando una chiave originale e un taglio convincente.

ACAB al cinema sceglie quindi di seguire alcune delle storie tratte dalle pagine del giornalista di «Repubblica», cancellandone altre e inventandone una, quella del poliziotto giovane che entra nella squadra dei duri, che diventa centrale per lo sviluppo della trama. ACAB (all cops are bastard) “ritornello” skin degli anni Settanta, importato in epoca assai più recente dalle curve e dalle frange estreme del tifo, è quindi la cronaca romanzata di una “guerra” combattuta ai nostri giorni tutte le volte che una manifestazione, una partita di calcio, un corteo o uno sciopero ha messo di fronte le “guardie” e i loro avversari. Chi sono questi è molto complicato da dire, così come in effetti non è facile dire chi siano diventati gli uomini in divisa, cresciuti nello stesso culto della violenza che alimenta chi li sfida.

Odio, scontri e confusione. Ecco forse, a parte la rabbia che respirano e trasmettono tutti i personaggi e gli ambienti del film, è la confusione la vera protagonista della storia: confusione tra i ruoli, tra le appartenenze, i gradi e gli schieramenti. Destra, sinistra, italiani e stranieri: il caos dei nostri giorni diventa palpabile, terribilmente concreto guardando le gesta di Cobra, Mazinga, del Negro e dei loro “nemici”. Tutti così uguali eppure piazzati sulle parti opposte della barricata. C’era un momento, nelle nostre partite di pallone da ragazzini, in cui l’arbitro (immaginario) decretava il «tutti contro tutti»: era il trionfo dell’anarchia, la partita “pazza”, senza falli né regole, con le porte invertite e calcioni che volavano. Ecco, forse ci si deve sentire un po’ così quando con il casco in testa e uno scudo si perde il compagno che avevi di fianco e ci si trova ad affrontare qualche centinaio di persone in una guerra di strada dove valgono tutti i colpi proibiti e non sai più chi è l’avversario che hai di fronte. Che potrebbe essere anche tuo figlio. ACAB cerca di raccontare questo istante di spaesamento, condito da un rumore di ossa e da un odio che gronda ovunque: Sollima non cerca di infilarsi più in profondità, non vuole l’introspezione, le “ragioni” dei personaggi, non indaga e quasi non svela il disagio, se non a tratti, preferendo il racconto di strada e di genere. Il ritratto che ne esce è potente, adrenalinico, inquadrato con una fotografia sgranata e realistica e un montaggio ad alto ritmo, che sostiene la recitazione dei protagonisti Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Andrea Sartoretti e, soprattutto, Marco Giallini che hanno le facce adatte per i rispettivi personaggi. Sono loro i celerini raccontati in un arco di tempo che collega episodi di cronaca ben riconoscibili: il G8 di Genova, la caserma Diaz, l’assassinio dell’ispettore Raciti allo stadio di Catania e la sommossa a Roma dopo l’omicidio di Gabriele Sandri. Una cronologia che allinea vendetta a vendetta e che vista così, tutta in fila fa venire i brividi e, anche inconsapevolmente, spiega qualcosa in più dello scontro a cui assistiamo, quotidianamente, trasmesso dalla luce azzurrognola di un tg.

PRIMA VISIONE - Paura, adrenalina, botte, corse, anfibi, manganelli, cariche. E di nuovo corse, ancora paura e urla. Odio. Per le divise, per le “guardie”...

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