Tra 60 anni venti preti in tutta la diocesi

Certe notizie colpiscono con speciale forza anche se riguardano fatti ben noti e di cui si discorre da tempo. Mi sono trovato in questa situazione alcuni giorni fa, leggendo i dati forniti dal nostro giornale sul calo - definito, con eufemismo, lieve - dei sacerdoti, diminuiti, fra noi, di diciassette unità nel corso degli ultimi sei anni, cioè tra il 2005 e il 2011. Una media, quindi, di circa tre all’anno, e - possiamo aggiungere - con un trend che non dà spazio ad assalti di speranza e di ottimismo. Non so se per esigenze intellettuali o per tentazione di subdoli démoni, è quasi fatale, di fronte a questi dati, buttarsi in previsioni ed allineare statistiche e cifre, con tutto ciò che ne consegue. Ecco, allora, a cosa mi hanno indotto i subdoli, di cui si è appena detto. Spingiamo – ho pensato fra me e me – lo sguardo nei labirinti del prossimo sessantennio, per vedere cosa può apparire all’orizzonte. Il periodo di previsione scelto, cioè i prossimi sei decenni, può spingere qualcuno a risolini anche di compatimento, per la presunzione che pare insita nel voler dominare, con la propria mente, uno spazio di tempo che, prima di passare, sembra infinito. Attenti, però, ai risolini. Chi ha la mia età può condurre sicure analisi su quanto avvenne nel sessantennio che sta alle spalle, e, se ragioniamo con raffronti e in prospettiva, cioè con lo sguardo volto al futuro, ciò non può indurre che a riflessioni serie.

Passando, infatti, ai numeri e facendo leva sui dati offerti dalla statistica sopra citata, è giocoforza concludere che, al termine dei prossimi sei decenni, il calo dei sacerdoti nella nostra diocesi sarà di circa centottanta unità, rispetto ai duecento di oggi. Non resta che pensare, fin d’ora e con tenerezza, a quel piccolo resto del nuovo Israele.

Non indugiamo, però, su questo pensiero, e, se possibile, diamo una sterzata a questi lugubri calcoli, nella speranza che si tratti solo di infondate fantasie.

So anche che non pochi cari amici, attrezzatissimi contro le insidie dei subdoli di cui sopra, trovano qualcosa di riprovevole nell’ordire, da parte mia, il diagramma che anche in qualche altro caso ho delineato, perché - come essi dicono - è il Signore che guida la storia e il cuore degli uomini, soprattutto in queste scelte di dedizione a Lui. Sono bravissimi, questi amici, nel ricondurmi ai dati essenziali della fede, che, del resto, sono ben lungi dal misconoscere. Mi pare, anzi, che, proprio per questa visione radicata nel divino, soprattutto i responsabili e quanti stanno in vetta devono pensare nuove e concrete vie da percorrere per far fronte alle speciali difficoltà.

Se la condizione ecclesiastica è così in crisi, come risulta dal linguaggio dei numeri, per tacere di tanti altri indizi, non sarà perché ci si trova ormai nella necessità di interventi chiari e precisi, a cui ricorrere, certo con saggezza, ma senza fremere di sdegno al delinearsi di cambiamenti e di novità? Questi pensieri non sono dettati da mancanza di fede; al più potrebbero peccare di ingenuità, se avessero la pretesa di essere efficaci più di quanto le situazioni consentono.

Si sa, infatti, che, nella Chiesa, le strutture sono rigorosamente gerarchiche, e, quindi, le voci che vengono dal basso possono solo risuonare con accenti di modesta entità, quasi solo per dire qualcosa di vago a chi può. Eppure mi chiedo: le vie del Signore, restando sempre tali, non potranno – per quanto attiene a noi – essere rinnovate con amore, percorse con nuovi mezzi, cioè con occhi capaci di leggere i segni dei tempi, i messaggi della storia, nella quale ciò che avviene, se non è corrotto dal male, assume sempre in sé i lineamenti del volto di Dio?

Chi appartiene alla mia generazione ha visto eventi e trasformazioni imprevedibili e inimmaginabili prima che si compissero. Ciò avvenne nella società, nella cultura e nelle istituzioni. Spettatori di masse in esodo, siamo rimasti in grembo alla santa madre Chiesa, nutrendo speranze, idealità e sogni.

Ora le ombre si allungano, cala la sera e la sensazione, talora, è di selve in cui tutti i sentieri si perdono. Nell’oscurità non può, tuttavia, mancare chi veglia e fa da guida, in ascolto delle nostre umili voci, che chiedono, come si legge nel profeta Isaia: «Sentinella, quanto resta della notte?».

© RIPRODUZIONE RISERVATA