Sui banchi non siamo all’anno zero

All’inizio dell’anno scolastico manca ancora un po’ di tempo, ma in questi giorni è in un certo senso cominciata la scuola: se ne parla, infatti, con insistenza, in particolare per via dell’annuncio del ministro Profumo sulle prossime assunzioni dei docenti e soprattutto per l’indizione del concorso a cattedre che è effettivamente una novità. Nel senso che mancava da molto tempo, 13 anni, e forse nessuno ci sperava più. Il concorso è dunque un passo importante, anche nella prospettiva – sottolineata dal ministro – di dare la possibilità di inserirsi nella scuola a docenti giovani, al di là del meccanismo che costringe al ricorso a graduatorie ferme da anni. Graduatorie che non verranno dimenticate, assicura il titolare di viale Trastevere, visto che metà delle cattedre a disposizione continueranno ad essere coperte proprio tramite il ricorso alle graduatorie. E ai precari che già hanno protestato, dicendosi penalizzati dal nuovo concorso, sempre il ministro ha “rivoltato la frittata”: niente penalizzazione, piuttosto una nuova opportunità, poiché a loro non viene tolto nulla, restano in graduatoria, ma se volessero migliorare la propria situazione, ecco che possono partecipare anche al concorso. Secondo il ministro, così si risponde alla normativa, che prevede il doppio canale per l’assunzione – concorso e graduatoria – e si torna ad essere un “Paese normale”. Al di là del “meccanismo” per l’assunzione dei docenti, la discussione di questi giorni sul concorso ha portato a riflettere anche su un altro aspetto, decisamente importante: il tipo di preparazione richiesta per entrare nella scuola. Il ministro, infatti, ha spiegato che i futuri docenti dovranno affrontare “un test iniziale di pre-scrematura”, per valutare la loro “capacità logica, di comprensione verbale, le loro competenze linguistiche ed informatiche”, Inoltre ci sarà un test sulle competenze, una seconda prova sostanzialmente di settore, infine una terza prova per valutare in particolare le capacità del candidato alla cattedra in rapporto allo «stare insieme», in classe. Agli aspiranti insegnanti verrà chiesto di condurre una lezione simulata, in modo da valutare l’attitudine della persona a rapportarsi con i giovani. “Ritengo che gli insegnanti debbano essere persone in grado di stare coi giovani – ha detto il ministro in un’intervista –. Ciò perché le sole competenze non bastano: non è detto che un grande ricercatore o uno scienziato sia poi un ottimo insegnante”. Questa “terza prova” è indubbiamente una novità, anche se va detto che da anni la formazione dei docenti si muove nella direzione indicata dal ministro, che sottolinea come, per insegnare, servono competenze trasversali e relazionali indispensabili per stare in classe. Per gestire il mondo complesso delle relazioni tra giovani e adulti, certo, ma anche quello delle relazioni tra colleghi, con i genitori, in vista di una scuola che mette in rete la collaborazione educativa. Ben venga una riflessione in più su questo aspetto. Insieme alla considerazione, però, che la scuola non è comunque all’anno zero e ha risorse importanti al suo interno.

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