Quello che è accaduto all’Istituto Comprensivo Cruillas di Palermo, è solo l’ultimo di una serie di episodi che hanno visto, come protagonisti, minorenni poco più che bambini salire agli onori della cronaca nazionale per atti violenti della specie più bieca che ci è dato conoscere. Non può trovare alcuna giustificazione quanto accaduto in una classe di questa scuola dove, sia pure in presenza dell’insegnante, tre alunni infieriscono con calci e pugni su un compagno di classe fino a mandarlo in ospedale in condizioni disperate. Roba da non crederci. Ciò che più fa riflettere è che questo non è un caso isolato. Nelle aule di tante scuole circola una sorta di malefico lassismo al punto tale da ritrovarsi invischiati in un relativo perdonismo fino a tollerare l’intollerabile. In molti casi non è affatto strano trovarsi di fronte a un «poverinismo» che porta inevitabilmente a cercare una spiegazione là dove non è possibile trovarla, a cercare comprensione là dove si deve partire da una severa punizione. Si sa che con i ragazzi non bisogna mostrare un minimo di debolezza pena la messa in atto di una serie di atteggiamenti che possono sfociare in atti violenti e non solo tra alunni. Internet è una enciclopedia di scene che dovrebbero far rabbrividire persino i genitori. L’episodio accaduto alla Cruillas lascia interdetti non solo per come si sono svolti i fatti ancora in fase di accertamento, ma anche per la gravità in sé che vede un bambino di dieci anni subire un atto di bullismo che non può ottenere alcuna comprensione. Ma poi siamo sicuri che si tratti di bullismo? Siamo sicuri di avere a che fare con ragazzini bulli? E se si trattasse di delinquenza? E se scopriamo di avere a che fare con teppistelli in erba impegnati in esercizi di crescita delinquenziale? Del resto quando volutamente un gruppetto di ragazzini, in classe, si organizza in branco e incurante dell’insegnante infierisce su un debole fino a mandarlo in ospedale con prognosi riservata, viene difficile descriverli come bulli. Cosa ancor più preoccupante è che cresce con sempre più insistenza quella strana cultura di assuefazione tanto da mettere al riparo da ogni conseguenza chi si rende artefice di malefatte. E’ un grosso rischio che non si deve assolutamente correre. Stiamo parlando di un episodio che ha dell’incredibile, ma che si aggiunge a tanti altri da nord a sud in tutti i gradi di scuola, dalle elementari alle superiori, lasciando nello sgomento sia insegnanti che genitori. Atti talvolta talmente violenti da avere così poco di bullismo e così tanto di criminoso. Alcuni ricorderanno quanto accaduto all’Istituto Professionale “Caterina da Siena” di Milano dove uno studente poco più che sedicenne, aveva colpito con l’estintore al volto e alla gamba un insegnante, mandandolo in ospedale. La colpa del docente? Essere intervenuto per far smettere lo studente di “giocare” pericolosamente con l’estintore lungo i corridoi della scuola. Possiamo forse definire questo un episodio di bullismo? Non è meglio classificare certe azioni col loro nome? Non sarebbe più corretto parlare di un episodio di inaudita violenza, commesso ai danni di chi si stava adoperando in un atto educativo? Un estintore è uno strumento altamente pericoloso se viene usato impropriamente. La verità è che nelle nostre scuole, elementari o superiori che siano, oramai dilagano azioni inconsulte che possono trovare alimento solo là dove emerge una cultura diversa. Dalle numerose indagini statistiche condotte tra i giovani studenti una grossa percentuale di essi considera «ragazzate» gli atti violenti. Non solo. Per certi versi la scuola viene criticata per eccessiva severità nel punire queste «ragazzate». E non è finita. Sempre dalle statistiche si viene a sapere che in moltissimi casi i genitori si schierano dalla parte dei ragazzi individuando, nella omessa vigilanza, la causa prima all’origine dei fatti che accadono nelle scuole. Ma come? Qui parliamo di ragazzini poco più che bambini che si rendono artefici di un comportamento violento nei confronti di un loro coetaneo e ora davanti a un giudice rischia di finirci l’insegnante. E va bene che i ragazzi trovano sempre qualcosa a cui aggrapparsi per giustificare le malefatte, ma che poi gli insegnanti debbano fare i conti con le opinioni avverse dei genitori e andare persino in giudizio, questo mi sempre un po’ troppo. Quando dei ragazzini mettono in pratica comportamenti violenti non può la scuola essere chiamata in causa. E se è così, a chi si deve la responsabilità dell’accresciuto livello di violenza nelle scuole? In altre parole se la mancanza di educazione porta molti ragazzi a compiere le cosiddette «ragazzate», a chi dobbiamo rivolgere i rimproveri? Ancora una volta mi tocca ricordare Diogene il cinico, soprannominato dagli ateniesi il Socrate pazzo, che mentre beveva a un ruscello fu colpito da un sasso lanciato da un ragazzino. Una ragazzata? Lui non la prese così. Con fare deciso si precipitò a schiaffeggiare non il ragazzino autore del gesto, ma il suo precettore che gli era accanto: «Se questo è un villano oggi, la colpa è soltanto tua». E come dargli torto. La responsabilità del cattivo gesto, infatti, va ricercata in una pessima educazione che il ragazzino aveva ricevuto dal suo precettore. Tutto qui. Gli adulti, quindi, hanno grosse responsabilità a cui non possono e non devono sottrarsi. Una preciso ruolo in questo processo hanno i genitori ai quali va rimproverato soprattutto una certa accondiscendenza alimentata, talvolta, da una condivisione di pseudo valori che mettono in forse i rapporti educativi. Va bene rimproverare e se mai punire un alunno reo di una squalificante azione, ma va cercata la motivazione di fondo che ha portato un ragazzo a vedere nel rapporto di forza la soluzione violenta da perpetuare nei confronti di coetanei o di adulti. In altre parole da punire deve essere soprattutto chi educa male questi ragazzi. Quindi in presenza di ragazzini poco più che bambini o di adolescenti responsabili di gravi e violente azioni, che paghino i genitori. I ragazzi si educano non difendendoli, ma correggendoli. Che i genitori tornino a fare i genitori!
© RIPRODUZIONE RISERVATA