Il palcoscenico della politica nazionale sostenuto da contributi esterni di variegata estrazione, ci ha da tempo abituato alle giornaliere, affatto cavalleresche dispute intrapartitiche. Il salentino di bell’aspetto, d’ncipiente pinguedine, che lascia la “casa del padre” sputando nel piatto dentro cui ha, per anni, mangiato. Il funambolo, barbuto titolare di via Bellerio, dall’evangelico nome, che silura il recalcitrante scaligero, rivelatosi poco incline ad aggiogarsi al carro ( anzi carroccio).Il canuto ortottero di pinocchiesca memoria, alla testa di un’armata che continua a rivellare la sua indole “brancaleonica ”.Il transfuga, socio di Pluto e Topolino, che strizza l’occhio al deludente Claus barese.La “quinta colonna “ del Nazareno che maschera il proprio livore dietro cadreghinoil “ rigor sinistrosso”e sfodera proditoriamente le lance per difendere la bella rosina.E’ legittimo chiedersi se simili comportamenti sono in linea con il mandato ricevuto.Appare accettabile che lor signori, invece di offrire un contributo attivo alla soluzione dei difficili problemi che ci affliggono, spendano il loro tempo ad organizzare misere faide, a paragone delle quali le liti condominiali diventano dotte controversie aristoteliche?Le cronache di inizio Novecento raccontano che Giovanni Giolitti e Gaetano Salvemini, si trovarono spesso su posizioni non di certo allineate. Il primo, piemontese di idee liberali e progressiste, naturalmente incline a promuovere lo sviluppo industriale al nord; il secondo meridionalista convinto, che considerava la probità un dovere, paladino delle minoranze contadine succubi e arretrate, cui voleva distribuire le terre del vecchio latifondo. Le loro opinioni a volte divergevano al punto tale da sembrare inconciliabili, ma i loro contrasti, tuttavia, rimasero sempre in ambito di confronto, a volte aspro ed appassionato, comunque contenuto entro civili limiti di reciproco rispetto e nell’intento, soprattutto, di perseguire, obiettivi concreti, costruttivi e disinteressati.In epoca più recente De Gasperi e Togliatti, il primo cattolico osservante, il secondo laico ben al di là delle convinzioni ideologiche, si diedero battaglia dagli opposti scanni nell’emiciclo parlamentare, ma l’annedotica del tempo racconta che il “rosso” genovese, in occasione di uno dei magri Natali postbellici, fece recapitare al suo “bianco” avversario altoatesino un sobrio, augurale, cestino di generi alimentari.Quei quattro pilastri della storia recente di un’Italia unificata, ma ancora, ahinoi, divisa, pur schierati su versanti antitetici per tradizioni, formazioni, culture, idee, avevano in comune il senso dello Stato, capace di generare un unico nobile impulso: l’impegno per gli altri, non importa se propri o altrui elettori.Viene conseguenziale chiedersi se, ed in che misura, il medesimo spirito di servizio è riscontrabile nella categoria degli odierni uomini politici il cui principale, se non unico scopo, pare si identifichi con la ricerca del più efficace adesivo adatto a mantenere la poltrona ben incollata alle proprie terga.Ciò che però appare inammissibile è che per mantenere immutato un tale miope, retrivo equilibrio, si faccia ricorso a specifici strumenti, messi originariamente in campo per tenere lontani dai luoghi di potere i professionisti del malaffare e non per imbastire poco onorevoli vendette personali.L’amara, pur ovvia, conclusione è che l’attuale universo parlamentare faccia specularmente il paio con il Paese e che l’interesse a mantenerli entrambi nella gattopardesca immanenza prevalga largamente sui tentativi di chi vorrebbe invece il cambiamento.E’ questo il miglior sistema per aumentare il baratro tra cittadini e politica e concedere agio ai faccendieri, ai mestieranti, ai corrotti e corruttori, capaci di tradurre in laido profitto anche la sofferenza dei propri fratelli.Dentro quelle menti offuscate dalla voglia di prevalere ad ogni costo, non riesce a farsi strada l’ineludibile verità che il progresso si consegue con la dedizione disinteressata, l’onestà, l’osservanza delle regole democratiche e con il rinnovamento. E’ indispensabile cambiare ciò che non funziona. Se così non fosse già accaduto nel passato, staremmo ancora ad accendere il fuoco con la pirite!
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