Se la miseria peggiora tra i più poveri

La speranza è la virtù bambina, scriveva nei suoi versi Charles Peguy, piccolina in mezzo alle sue sorelle maggiori, nessuno sembra darle attenzione, ma “la Speranza vede quel che non è ancora e che sarà. Ama quel che non è ancora e che sarà”. Con la virtù della Speranza si affronta ogni impresa che la Fede e la Carità possono indicare e sostenere. Gli squilibri globali continuano a essere profondi: i conflitti, le minacce, il continuo esodo dei flussi migratori, i disastri ambientali ne indicano la gravità. Superarli appare improbabile. I recenti dati Ocse sull’aiuto finanziario, che i Paesi economicamente più avanzati indirizzano a quelli in via di sviluppo, rilevano una crescita dell’8,9%: si tratta di 142 miliardi di dollari, lo 0,32% sul Pil.

In apparenza potrebbero sembrare molti soldi, ma c’è ancora più di metà strada da percorrere per arrivare all’obiettivo dello 0,7%, traguardo fissato per la prima volta al 2000 e ora riproposto per il 2030.

Purtroppo quando si scende nei particolare si verificano delle incongruenze, perché si nota che circa il 10,8% della somma complessiva stanziata dai Paesi Ocse è utilizzata per la gestione dei rifugiati e dell’accoglienza dei migranti. Così la cifra si ferma ai confini nazionali e non sarà mai utilizzata da uno dei Paesi in difficoltà per avviare lo sviluppo. Si consolida la cattiva pratica di avvalersi della cooperazione internazionale per gestire i flussi migratori invece di promuovere uno sviluppo sostenibile.

Inoltre osserva Oxfam – una onlus internazionale che combatte le disuguaglianze -, a commento dei dati, i Paesi più poveri in assoluto, quelli in fondo alla classifiche, ricevono meno degli altri, solo 24 miliardi e altrettanti ne ricevono i Paesi di una delle zone in crisi più grave, quelli dell’area dell’Africa Sub Sahariana. Una quota che sconta una diminuzione del 3,9% rispetto al 2015.

Il traguardo di aiutare lo sviluppo si allontana.

Ma la speranza ricorda Papa Francesco nella “Laudato Si’”, va sempre coltivata, perché “ci invita a riconoscere che c’è sempre una via di uscita, che possiamo sempre cambiare rotta, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi. Tuttavia, sembra di riscontrare sintomi di un punto di rottura, a causa della grande velocità dei cambiamenti e del degrado, che si manifestano tanto in catastrofi naturali regionali quanto in crisi sociali o anche finanziarie, dato che i problemi del mondo non si possono analizzare né spiegare in modo isolato. Ci sono regioni che sono già particolarmente a rischio e, aldilà di qualunque previsione catastrofica, è certo che l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista, perché abbiamo smesso di pensare ai fini dell’agire umano: ‘Se lo sguardo percorre le regioni del nostro pianeta, ci si accorge subito che l’umanità ha deluso l’attesa divina’” (n.61).

Per non continuare a deludere l’attesa, rimbocchiamoci le mani e cerchiamo insieme la via d’uscita.

© RIPRODUZIONE RISERVATA