Scuole occupate, si ricomincia

È iniziata la stagione della caduta delle foglie e con essa la caduta del ritmo delle lezioni. Non è una cattiva interpretazione dei fatti, ma un’amara constatazione dettata dall’andamento delle perturbazioni studentesche che animano, in questo periodo, il quadrante scuola. Un fenomeno che si ripete oramai da tanti anni, in autunno, senza che una qualche soluzione sia stata mai trovata e questo non certo per cattiva volontà delle istituzioni che, anzi, hanno sempre cercato nel dialogo con gli studenti la risposta alle intemperanze, agli slogan, alle azioni violente. A piegare la scuola, quindi, più che l’influenza stagionale, che pure costringe a letto anche tanti docenti e studenti, sono i cortei, le occupazioni, le assemblee, le autogestioni e ora anche a le «pre-occupazioni». Una discutibile consuetudine che con gli anni ha trovato e continua a trovare linfa vitale in alcune variabili più o meno tradizionali, più o meno eccentriche. Oggi, che simili vuote tradizioni si ripresentano puntualmente rivisitate anche in chiave tecnologica, le fibrillazioni studentesche ruotano anche attorno a temi politici (riforma fiscale e tassazione dei redditi). Il rischio che corrono i ragazzi, sia pur animati da buone intenzioni di dialogo, è rappresentato dalla credibilità che simili manifestazioni possono avere presso la pubblica opinione. Che siano giornate particolari di un certo rilievo come le «Student day» organizzate in maniera globalizzata o giornate violente come le nostrane «Block day» con scontri tra studenti e polizia che finiscono col creare disordine e caos sociale, ciò che emerge è sempre la solita convinzione: poco pragmatismo e molta ideologia contro. E’ pur vero che l’esperienza locale oramai sta un po’ stretta ai nostri ragazzi che aiutati dai social network, dagli sms, riescono, invero, a fare grandi cose anche se un po’ stravaganti. E’ il caso, per esempio, dei «Flash mob» messi in atto la scorsa settimana in alcune città dove gruppi di studenti, aiutati in questo da internet e dai telefonini, riescono a trovarsi in pochissimi minuti, agire rumorosamente per poi dissolversi rapidamente così come sono comparsi (solo gli indiani, con i segnali di fumo, facevano di meglio). Personalmente considero queste iniziative poco produttive, tuttavia bisogna stare attenti e non sottovalutare la sete di dialogo che tanti studenti, in modo critico, ma rispettoso delle istituzioni, mostrano di avere. Bisogna cogliere i segnali e interpretarli con disponibilità e comprensione senza però cedere di un millimetro su di un punto: niente occupazioni. L’interruzione di una lezione non è mai negoziabile. Merita una particolare segnalazione, a tal proposito, quanto intrapreso dai presidi di Firenze, non fosse altro che per lo spunto che hanno offerto a tanti altri colleghi alle prese con le manifestazioni studentesche che in questo periodo si stanno moltiplicando a dismisura. Si tratta di una lettera aperta, pubblicata sui quotidiani locali, indirizzata agli studenti fiorentini il cui contenuto trova una sua sintesi già dal primo rigo: «Cari studenti, la scuola pubblica non si difende con le occupazioni». Una lettera che ha trovato validi interlocutori non solo nelle locali istituzioni civiche, ma anche in moltissimi studenti pronti a dare credibilità al confronto senza perdere di vista le idee, la concretezza delle proposte. Il problema sta proprio qui. Come rafforzare il dialogo senza rompere l’equilibrio che faticosamente si costruisce tra le parti? Quando un movimento studentesco si presenta con sigle tanto altisonanti quanto preoccupanti come «Senza Tregua», «Book Block» o come «Lotta Studentesca» c’è di che stare poco speranzosi in fatto di civile confronto. E i fatti sono lì a dimostrarlo. Se poi le iniziative partono da movimenti come «Laboratorio Studentesco» o «Studenti Indipendenti» allora si può sperare in una maggiore consapevolezza sull’importanza del dialogo tra le parti. E’ a questa consapevolezza che si affidano tanti presidi visti tradizionalmente più come una controparte da affrontare che non come una parte della scuola con cui dialogare. L’ascolto è la migliore delle condizioni poiché porta sempre a comprendere il lungo elenco delle rivendicazioni studentesche che spaziano dalla mancanza dei fondi per il diritto allo studio al libero accesso ai saperi, dall’abolizione del voto di condotta alla condanna dei tagli degli organici, per arrivare a richieste più concrete come l’abolizione delle classi pollaio, o l’aumento di stanziamenti per strutture e infrastrutture scolastiche. Mai come in questo caso i ragazzi sono capaci di dare empiriche dimostrazioni di realtà. Il riferimento, naturalmente, va ai tanti edifici scolastici fatiscenti, con laboratori male attrezzati, arredi sgangherati, aule inagibili in barba a ogni canone di sicurezza. Problemi forse poco noti alla gran parte dell’opinione pubblica, ma molto noti agli uomini del palazzo.E’ un modo come un altro per offrire all’attenzione di chi ascolta una moltitudine di piccole verità. Purtroppo le richieste spesso non sono prese nella dovuta considerazione e restano senza risposte da parte di chi dovrebbe prestare più ascolto. Una condizione, questa, che spinge gli studenti a scegliere la linea dura e affidare a una infruttuosa contrapposizione l’esito finale strumentalmente scelto per dare sfogo anche ai propri istinti. A prevalere, in questi casi, è sempre lo scontro che i presidi mai vogliono e mai cercano. Inizia così il classico rito di un autunno festaiolo, dal timbro italico con canti, balli, concerti (quando tutto va bene) o con atti di puro vandalismo contro strutture e infrastrutture alternati da scontri violenti (quando tutto va male). «L’unica cosa in cui si è davvero bravi è l’arte di portare violenza organizzata» ci ricorda Samuel Phillips Huntington, autore di numerosi saggi sullo scontro tra civiltà,. Occorre ripristinare la centralità del dialogo, occorre rilanciare la cultura della legalità del diritto tante volte calpestato dall’intemperanza giovanile che ha trovato facile sponda nella dottrina del lassez–faire. Si deve voltar pagina e trovare nel maggior livello di ascolto verso gli studenti quella risposta alternativa alla piazza, allo scontro, alle azioni disciplinari che finiscono spesso più per esasperare gli animi che non per ricostruire un clima erroneamente ritenuto sereno pur sapendo che sotto la cenere cova la brace.

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