Nella settimana scorsa sono stati diffusi i dati dei test Ocse-Pisa 2012 sulla scuola italiana, solitamente, una cartina di tornasole per verificare l’andamento del sistema scolastico nel nostro Paese. Molte le indicazioni. Prima delle quali, forse un po’ a sorpresa, quella per cui le competenze degli studenti italiani in matematica, lettura e scienze sono più buoni che in passato. Restano sotto la media Ocse, ma si va avanti. In matematica, in particolare, tra il 2003 e il 2012, i risultati sono migliorati, avvicinandosi notevolmente alla media. È diminuito di 7 punti percentuali il numero di studenti con competenze insufficienti ed è aumentato di quasi 3 punti percentuali il numero di studenti che raggiunge livelli di competenze molto elevate. Un altro dato significativo - questo scontato, a dire il vero, per chi osserva la scuola italiana - è il divario grande tra le diverse regioni d’Italia. Francesca Borgonovi, analista Ocse-Pisa, spiegava che «gli studenti del Nordest sono tra i migliori al mondo, mentre in altre regioni troppi studenti hanno competenze insufficienti. Le stesse differenze che si vedono, in Europa, tra i risultati degli studenti svizzeri, olandesi e finlandesi da un lato, e rumeni e bulgari dall’altro, si trovano in Italia tra le regioni del Nordest e gli studenti di Calabria e Sicilia». C’è un altro dato curioso nel rapporto Ocse e riguarda i ragazzi che saltano lezioni o giorni di scuola senza autorizzazione. Qui l’Italia, con 6 su 10 è ben sopra la media Ocse (1 su 4). Il rapporto dice molte cose, ma ci si può fermare qui per qualche riflessione. La prima riguarda i miglioramenti della scuola italiana, ottenuti in questi anni, pur segnati dalla carenza di risorse economiche. C’è chi ha legato lo sviluppo alla vitalità di alcune regioni del Nordest, al loro dinamismo, al «capitale sociale», tanto più evidente se si considera, al contrario, la situazione di depressione in cui si trova la scuola al Sud, dove intere aree sembrano fuori dal controllo dello Stato, con prospettive economiche deboli o inesistenti, dove per i giovani è difficile se non impossibile guardare con ottimismo al futuro. La scuola, in effetti, costruisce la società e insieme ne è lo specchio. Ha bisogno di investimenti e risorse - soldi e strutture - ma anche di entusiasmi e speranze. Il nostro Paese, in questi anni, arranca su entrambi i versanti, per i quali, invece, sarebbe ora di avviare un circolo virtuoso. E la scuola, la «scommessa» sulla sua tenuta e la sua capacità di promuovere positività è forse il punto da dove partire. Perché tanti ragazzini - dice il rapporto - «marinano» la scuola? Evidentemente non è colta come un’opportunità decisiva. La sua immagine sociale resta sotto traccia. L’apprendimento, e forse anche il valore di una attività non immediatamente «materiale» o utilitaristica, come quella dell’imparare, dello studio, del sapere, probabilmente è sottovalutato. Qui bisogna lavorare: andare a scuola è un valore forte, la «fatica» dello studio premia, apre prospettive personali che non possono essere intese solo come possibilità di assunzione in futuro (senza minimizzare la questione, peraltro). Non è facile, in una società che chiede tutto subito e spesso finisce per offrire poco e niente. Però da qui si può ripartire e ci sono buoni segnali, anche sul versante della politica scolastica. I dati Ocse-Pisa sono uno stimolo in più per cercare di ridurre le differenze e dare opportunità ai giovani e al Paese.
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