Il periodo prenatalizio è da anni oramai destinato ad essere utilizzato dagli studenti come un periodo da dedicare alle manifestazioni, ai cortei, alle occupazioni. Poi arrivano le vacanze natalizie. Una pausa tanto attesa quanto salvifica per la scuola che consente ai presidi di tirare il fiato, ai genitori di confrontarsi, agli studenti di riorganizzarsi. La faticosa ripresa delle lezioni coincide, il più delle volte, con una repentina riqualificazione della protesta. Ma *preside dell’Istituto “Agostino Bassi” di Lodi quest’anno due variabili rompono le scatole sia agli studenti amanti degli slogan e delle piazze, che ai genitori ancora legati all’amarcord sessantottino. La prima è di natura giuridica, l’altra è di natura prettamente scolastica. Alle denunce presentate dai presidi, infatti, sono seguite indagini che hanno portato in questi giorni agli avvisi di garanzia. Le accuse che vengono mosse nei confronti dei ragazzi, sono di interruzione di pubblico servizio, di atti vandalici, di manifestazioni non autorizzate. La parola agli avvocati. Sul piano prettamente scolastico, invece, gli studenti dovranno ora fare i conti con il 5 in condotta. La parola ai docenti. E’ di questi giorni la notizia che al Liceo «Garibaldi» di Napoli il collegio dei docenti ha deliberato di assegnare il 5 in condotta al primo quadrimestre con sospensione di alcuni giorni dalle lezioni, ai 170 ragazzi responsabili, a vario titolo, delle occupazioni autunnali. Una mazzata da non trascurare anche se si tratta di una risposta educativa circoscritta agli episodi risalenti in un determinato periodo del primo quadrimestre. E non è finita. Un’altra tegola si abbatte sugli studenti che hanno dato libero sfogo a occupazioni, manifestazioni e libere uscite. Questa volta la risposta arriva dal Ministero. Una circolare appena emanata (la n°20 del 4.3.’11) chiarisce e fuga ogni dubbio interpretativo sul limite delle assenze consentito ai fini della validità dell’anno scolastico. Le assenze non possono superare il 25% del monte ore annuale riferito all’indirizzo di studio. Nel calcolo del 25% vanno comprese le assenze dovute a occupazioni, autogestioni, partecipazione a cortei. Ci sono ovviamente delle deroghe che autonomamente ogni scuola è tenuta a considerare. Tra queste ricordiamo le assenze dovute a gravi e comprovati motivi, ovviamente da documentare, terapie, donazioni di sangue, assenze per motivi religiosi, partecipazioni a gare sportive agonistiche riconosciute dalla federazione del Coni. Da quest’anno, quindi, se qualcuno supera la soglia indicata è automaticamente fuori dallo scrutinio finale e ripete l’anno. Condizioni che hanno creato malumore soprattutto tra i genitori di quei 170 studenti del Liceo Classico di Napoli che ora devono necessariamente fare i conti non solo con la giustizia, ma anche con le norme scolastiche. Dunque la situazione per molti studenti si presenta alquanto critica, tanto da spingere i genitori a cercare di ricorrere ai ripari. Di qui l’avvio di azioni legali avverse le decisioni dei consigli di classe finalizzate a contrastare le decisioni prese. Si va delineando uno scontro dai toni accesi tra scuola e famiglia. Da una parte la scuola che continua a sottolineare l’importanza dell’azione educativa anche se questa porta a conseguenze non volute. Dall’altra i genitori pronti a scendere in campo a fianco dei propri figli anche se responsabili di atti illeciti o violenti. Si rompe un’alleanza per incamminarsi verso un duro scontro. La scuola è accusata di dimenticare quei sentimenti di comprensione che non devono mai mancare quando si ha a che fare con adolescenti in crescita. Non solo. Talvolta è accusata anche di nutrire sentimenti di vendetta nei confronti di quei ragazzi che agli occhi dei più vengono additati come eroi, coraggiosi interpreti di un diffuso malcontento, espressione valoriale di una concreta partecipazione. Non sono d’accordo. Come si fa a confondere le ragioni di una passione educativa con le ragioni del cuore che richiamano a una esclusiva difesa dei propri figli, anche se questa finisce per indebolirli. Nessuno deve dimenticare che il livello di civiltà si misura non solo dal rispetto che un ragazzo deve a una istituzione, a un docente, ma anche a tutto ciò che un sistema rappresenta, nonché alle regole che lo governa. Può un atto vandalico, un atto di ribellione essere considerato un segnale di civiltà? Assolutamente. Eppure a ben guardare certe prese di posizione non aiutano a trovare le risposte che si spera di ottenere. Anzi. Prendendo le difese dei figli sempre e comunque solo perché mossi da un forte affetto genitoriale, si rischia di edulcorare una specifica dimensione etica che valorizza la presenza dell’adulto all’interno di una istituzione. Che sia la scuola o la famiglia non fa differenza. Guardare con un eccesso di comprensione o con una reciproca simpatia certe discutibili iniziative dei ragazzi, si rischia molto. E questo soprattutto in termini formativi perchè prima o poi quell’infelice comprensione, quella compromettente simpatia possono causare forti lacerazioni. Nel qual caso a subire le conseguenze sono soprattutto la scuola e la famiglia, ovvero proprio là dove si consuma principalmente la provocazione. Stiamo tutti attenti. I ragazzi per natura sono portati a pensare di essere circondati da una realtà simile a un covo di vipere pronte a mordere per far loro del male. E loro, che si sentono i più deboli, in mancanza di un corretto apporto, pensano di subire una visione distruttiva della figura dell’adulto. Una figura non più vista come fonte educativa, ma come antitesi a un percorso, a un progetto e perciò stesso da osteggiare. La relazione fa fatica ad andare avanti. Cosicché l’azione violenta viene vista come un’opzione costruttiva e non più come una soluzione distruttiva, mentre l’insofferenza viene chiamata ad accompagnare la ribellione. E allora trasgredire è lecito in quanto utile viatico in grado di offrire una necessaria quanto opportuna occasione da esperire. A questo punto essere temerari diventa una necessità. Lo diceva persino Hegel: «non si può imparare a nuotare se non ci si butta in acqua». E’ come dire che non si può crescere se non ci si butta nella mischia. Attenzione al fondale però. Se troppo basso ci si fa del male.
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