E’ una vera e propria rivoluzione quella che si appresta a investire la scuola francese. Un sistema che va a toccare ab imis sia l’organizzazione scolastica in sé che le secolari abitudini famigliari dei francesi. A darne l’annuncio è lo stesso ministro dell’istruzione Vincent Peillon, sollecito nel precisare che alcune novità verranno inserite già a partire dall’anno scolastico appena iniziato, mentre altre entreranno a regime in quello successivo. Si parla di calendario adattato ai ritmi biologici dei ragazzi e in effetti a ben leggere certe novità sono veramente rivoluzionarie. Le lezioni su materie “pesanti”, ad esempio, si svolgeranno al mattino, mentre altre, classificate come più leggere, saranno affrontate al pomeriggio dopo una pausa lunga di un’ora e mezza. La settimana scolastica si presenta corta, ovvero articolata su cinque giorni se non addirittura cortissima su quattro giorni. Le vacanze non saranno più concentrate in un unico periodo come da noi (tre mesi estivi), ma saranno meglio distribuite in più giorni per più periodi. Molto spazio sarà dato alle arti, alla tecnologia e allo sport. Non c’è che dire, una vera e propria rivoluzione scolastica che con molta probabilità farà della Francia il punto di riferimento per una auspicabile rielaborazione del nostro sistema scolastico. Ad essere sincero la realtà oggi si presenta con continui cambiamenti esponenziali a tal punto che continuare a concepire una scuola, come la nostra, strutturata su un modello sostanzialmente ottocentesco, non è più possibile. Bisogna che qualche ministro cominci a pensare a radicali cambiamenti, a vedere oltralpe esempi che non mancano, a considerare la Francia un’occasione per trovare in questo esempio, una ragione, una convinzione che è giunta l’ora di un serio cambiamento anche da noi. Un cambiamento che non sia, però, di stampo gattopardesco. Credo sia utili ricordare che anche in Inghilterra un mio collega, al secolo Paul Kelley, già nel 2010 ha rivoluzionato l’orario delle lezioni della sua scuola, sostenendo la tesi che una diverso ritmo di vita avrebbe consentito un miglior rendimento nello studio. In buona sostanza ai ragazzi della sua scuola è stato concesso di entrare più tardi nelle classi, con ritmi organizzativi differenti tra mattina e pomeriggio e con uscita ritardata, lasciando spazio alle attività ludiche. Il tutto secondo un equilibrato senso della misura. I risultati gli hanno dato ragione. Nel suo istituto si è registrato, negli ultimi due anni, un netto miglioramento in quanto a rendimento scolastico oltre a un accresciuto livello di interesse tra i suoi studenti. Personalmente trovo interessanti questi esperimenti e sarebbe ora che anche da noi si iniziasse a pensarla diversamente dalle ancestrali tradizioni scolastiche che vogliono le lezioni articolate tra lacci e laccioli, contribuendo, di fatto, a rendere asfissiante la stessa autonomia riconosciuta agli istituti. Ora non dico di rifarsi a Talete con le sue lezioni notturne o a Pitagora con la sua scuola settaria dove una pausa mensa negazionista, impediva agli allievi di mangiare fave, carne e legumi. E neppure a Epicuro che con il suo metodo isolazionista insegnava agli allievi come «liberarsi dal carcere degli affari e della politica», o a Protagora che con il suo proverbiale qualunquismo rendeva ragione di tutte le cose, o ancora a Zenone con il suo stoico fatalismo. Sono grandi esempi di un passato che hanno fatto la storia del pensiero e che hanno lasciato una traccia ancora oggi nitida, rendendo il messaggio attuale ancorché contemporaneo. Ritengo, però, corretto affermare che la loro era una scuola vista come luogo di sperimentazioni, una scuola controtendenza che tuttavia preparava il terreno alla scuola che sarebbe arrivata. E così è stato. Oggi i ragazzi, per fortuna, vivono in una realtà ricca di stimoli che possono, se sapientemente valorizzati, offrire un notevole contributo per la scoperta di valori e conoscenze. La scuola contemporanea è una scuola digitale che può trovare in una serena famigliarità con la tecnologia, un motivo in più per dare non contenuti, ma conoscenze e un insegnante non come figura autoritaria, ma come soggetto depositario di valori morali e competenze didattiche. Siamo alla vigilia di cambiamenti epocali che vedranno la scuola intensamente coinvolta. Una scuola distratta e disattenta non sarà più una scuola desiderata, capita e amata. Il reale e il virtuale si confonderanno sempre con più frequenza, mentre sempre più impellente risulterà una necessaria convergenza tra linguaggi diversi tuttavia necessari per diventare autentici interpreti della realtà. Le nuove tecnologie impongono nuove dinamiche in fatto di apprendimento e queste ultime dovranno necessariamente articolarsi su nuovi ritmi di vita, su nuove fasi di studio e di concentrazione alla base dei diversi cicli dell’esperienza di studio quotidiani. Tutto da rifare dunque? Non necessariamente. Non è, infatti, questione di fare o disfare un ritmo scolastico che ha segnato la vita di milioni di studenti nei secoli, ma di rivedere usi, costumi, e articolazioni che oggi segnano il passo e che se non riconsiderati rischiano di strappare un equilibrio che ha contribuito nel tempo a legare la storia scolastica con le esigenze degli studenti e delle famiglie. Il tempo scuola necessita una revisione nel rispetto dei ritmi biologici e cronobiologici che scandiscono, oggi più di ieri, il ritmo di vita di giovani e adulti. Ai ragazzi bisogna prestare attenzione affinché trovino nella quotidianità frenetica e distratta, un motivo per scoprire un ritmo diverso a tal punto da offrire loro nuove opportunità relazionali e di studio per gestire al meglio la faticosa giornata scolastica. Ben vengano, quindi, iniziative innovative come quella francese che contribuirà certamente a rivedere convinzioni e principi consolidati nel tempo, ma che hanno fatto il loro tempo. La scuola è anche scoperta, è anche amore per la conoscenza, è anche rispetto dei tempi diversi perché così si riesce a gestire con più equilibrio sentimenti ed emozioni, stanchezza e stress, tensione e concentrazione, tutte variabili che condizionano l’attività di apprendimento. Qui il tempo non c’entra, perché di esso si dovrebbe avere un concetto diverso. Lo dice Sant’Agostino nelle “Confessioni”: «…… che non è esatto dire che i tempi sono il passato, il presente e il futuro. Ma si deve dire che sono il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro».
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