Da più parti viene rilevata la necessità e l’urgenza di rilanciare il sistema Italia verso un futuro di maggior dinamismo imprenditoriale, politico ed economico, superando la stagnazione ormai troppo a lungo dominante. Non è problema semplice che mai potrà trovare soluzione se non lo si affronta. Senza scomodare esperti settoriali vorrei tornare con rinnovata enfasi sul tema delle prospettive e delle scelte che, a tal proposito, si pongono all’attenzione dei decisori politici, cui sembrano importare molto più le sterili schermaglie di basso profilo, piuttosto che le analisi serie ed appropriate.Serve una premessa per meglio comprendere ciò che intendo dire. Il nostro Paese è sempre stato a corto di risorse industrialmente sfruttabili. Non abbiamo mai avuto significative riserve di petrolio; il carbone del Sulcis era di scadente qualità e di costosa, non competitiva estrazione; quel po’ di metano trovato sotto le pianure del nord e nei bassi fondali marini a ridosso delle coste, si è già esaurito da diversi decenni; non esistono giacimenti minerari di rame, argento, palladio, allumino, uranio. Per questo motivo la nostra capacità produttiva si è indirizzata in larghissima prevalenza sull’importazione e sulla trasformazione. Ecco perchè, a rimorchio delle sette sorelle, siamo diventati,ad esempio, nella seconda parte del secolo scorso, la raffineria petrolifera d’Europa. Parafrasando la celeberrima storia, abbiamo, inoltre, come la cicala, sperperato ingenti risorse senza nulla accantonare per l’”inverno”, facendo crescere a dismisura il debito pubblico, permettendo ad un’orda famelica di sciacalli, protetti da interessate compiacenze e collusioni, di sbranare e dilaniare la Penisola, provocando, con scarsa avvedutezza e lungimiranza, il deterioramento dell’ottima scuola nazionale, favorendo la fuga dei migliori “cervelli” all’estero, trascurando la ricerca e deturpando il territorio e le sue coste con cemento e spazzatura.Ora che il modello economico basato sull’edilizia, sui combustibili fossili e sui manufatti metallici mostra segni di stanchezza e diversificazione, gli ordini stentano ad arrivare ed il buon livello occupazionale raggiunto, vacilla sotto i colpi della crisi economica e della, sempre più serrata concorrenza da Ovest e da Est.I paesi storicamente poveri, come la Cina e l’India, puntano adesso allo sviluppo. Vi sono larghi spazi per innalzare un reddito pro capite che parte da livelli ancora più bassi, forse, di quelli del nostro dopo guerra e la loro strategia ricalca, in qualche modo quella italiana degli anni cinquanta: attività manufatturiere ad oltranza, export, costo del lavoro estremamente contenuto, politiche adeguate per attirare capitali esteri.Dall’altra parte dell’Atlantico il Brasile, un’altra entità politica di grande estensione, con fame di civiltà, elegge un Presidente che ha già portato avanti, nel precedente governo Lula, un programma riguardante un bene definibile come primario: la luce elettrica nelle case dei brasiliani. Una nazione dunque, come le due asiatiche citate, con enormi margini di miglioramento e perciò con una grande spinta in direzione del progresso ancora lontano, nelle quali gli incrementi annuali del Pil sono prossimi a numeri a due cifre. L’Italia ha già vissuto tale marcia di avvicinamento verso il benessere, divenendo, in sessant’anni, una potenza industriale. Oggi tutti o quasi hanno di che sfamarsi. Molti dispongono del superfluo. Sulle strade, in lungo e in largo, viaggiano trentacinque milioni di autovetture che in coincidenza dei “ponti” festivi, nonostante la crescita dei prezzi del carburante, s’incolonnano ed impiegano cinque ore per fare cento chilometri. Ogni italiano ha uno o più telefoni cellulari (credo sia un primato mondiale) ed oltre i due terzi delle famiglie hanno una casa di proprietà. La “crescita”, dopo aver mostrato flessioni, avanza ora stentatamente, tra deboli speranze e reiterate delusioni, con percentuali a ridosso dello zero.Eppure questo Paese ha delle opportunità da cogliere per procurare a se stesso ed ai propri giovani, speranza, futuro e lavoro.Per la prima volta ed incredibilmente “scopre” entro i propri confini, risorse nazionali che altri non hanno, adattissime per puntare verso nuovi traguardi d’eccellenza.Vento, sole, geotermia, biomasse, abbondano quasi ovunque, specie alle latitudini meridionali. I giorni senza vento in Sicilia, in Puglia o in Calabria sono merce rara. L’insolazione per larga parte delle stagioni è beneficamente intensa. In alcuni siti il calore endogeno ha già iniziato a dare un significativo contributo alla produzione di elettricità, ma è possibile percorrere proficuamente questa stessa strada già delineata,espandendola ulteriormente. Gli insediamenti per l’estrazione del sal marino, ormai obsoleti e semiabbandonati, potrebbero essere riconvertiti per le colture di biomasse marine da trasformare in carburanti. Oggi si parla con sempre maggiore insistenza di tecnologie avanzate per il recupero energetico del traffico da calpestio e rotolamento. Con una densità automobilistica difficile da eguagliare e con i trasporti su ruote che la fanno da padrone, potrebbe essere immaginabile e realizzabile una rete substradale capace di raccattare una cospicua quantità di chilowattora, entropicamente perduta.Su di un’altro. tanto prezioso quanto negletto, versante, c’è l’inestimabile patrimonio culturale e monumentale che non necessita di alcuna riscoperta. Della colpevole incuria con cui è trattato, si sono recentemente occupati due grandi giornalisti in un loro libro appena uscito; un’ implacabile denuncia del degrado della Valle dei Templi, di Pompei, e di tante altre aree archeologicamente importanti, lasciate al martello del tempo ed alle “cure” dei novelli Vandali. Un simile patrimonio, che tutto il mondo ci invidia, messo nelle mani di chi sa fare seriamente impresa, potrebbe produrre ricavi ed utili operativi ben oltre l’immaginabile. In uno di questi insediamenti carichi di storia, del quale per amor di patria non cito il nome, sono attualmente mantenuti tredici custodi, a fronte di una spesa annua vicina al mezzo milione di euro. In dodici mesi solo un visitatore, cui giustamente è stata concessa la gratuità, lo ha raggiunto.Le colpe? Fin troppo semplice scaricarle su colui che viene ritenuto il Male. Ricordo di aver fatto un viaggio negli anni ottanta tra Mozia, le cave di Cusa, Selinunte ed Agrigento: un brulicare di cantieri abusivi che edificavano case di qualsiasi forgia e volumetria, all’insegna del disordine e dell’irridente sberleffo. Il Cavaliere non era ancora sceso in campo. C’è, invece, dell’altro da denunciare. L’Italia è sempre stata meta ambita per americani, e giapponesi che, a frotte, venivano a studiare, nei nostri conservatori, musica, canto, balletto. Le ricadute, in termini d’immagine, sono sempre state utilissime a mitigare gli sprezzanti giudizi che gli stranieri non ci hanno mai risparmiato. La Scala, la Fenice, il Reggio di Parma, il Maggio Musicale Fiorentino, le Terme di Caracalla, il Massimo, il San Carlo hanno sempre attratto, con i loro spettacoli e in ogni stagione, turbe di spettatori e visitatori, offrendo validissimo contributo al fatturato turistico. Ora si rischia di chiuderne i battenti, mentre il Bel Paese precipita sempre più in basso ed appare sempre meno attraente, specie quando in giro per la penisola si leggono cartelli come questo: “spaghetti con aragosta, 366 euro!”Arriverà il momento (non c’è molto tempo) in cui la nostra classe politica avvierà un concreto programma di rinnovamento e sviluppo in queste direzioni? Se così non dovesse essere, dico ai miei nipoti di preparare le valige, mentre io darò definitivamente ragione al mio amico di Detroit: “Your country is dramatically hopeless”!
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