Piccoli stupidi bombaroli crescono

Èvero. Questi ragazzi sono capaci di gesti forti ed encomiabili tanto da lasciare traccia del loro passaggio. E’ questo il sentimento che ha provato la mia collega, Norma Pedicini, del Liceo Classico “Pietro Giannone” di Benevento. E non poteva essere diversamente visto il gesto di solidarietà che hanno dimostrato i suoi e gli studenti di un altro Liceo della città dopo essersi confrontati sul campo per una partita di beneficienza. Fa bene ad affermare che «quando parliamo male di questa generazione, forse dovremmo stare più attenti. Questi ragazzi hanno davvero un cuore molto grande». Ma qualcosa è andato storto. Visto il botto che hanno fatto, forse vale la pena fermarsi un attimo e aggiungere qualcosa di sinistro contro certi ragazzi che forse annoiati, forse inconsapevoli portatori di bestialivalori, non trovano di meglio da fare che affidare alla vendetta i loro sentimenti e lasciare traccia del loro passaggio. E’ successo così che la partita di solidarietà tra due Licei della città, il Classico «Pietro Giannone» e lo Scientifico «Gaetano Rummo», partita peraltro terminata in parità, si è trasformata in un’occasione «esplosiva» per qualche studente scapestrato deciso a manifestare il classico malcontento in modo «rumoroso». E cosa ti fanno certi virgulti senza nè arte nè parte? Decidono di lavare l’onta dell’ingiusto pareggio nato da un rigore contestato, mettendo una bomba sulla soglia del portone d’ingresso del Liceo Classico «Giannone» nella notte più sentita dell’anno: la notte di Natale. Un bel botto. Risultato? Portone divelto, ventri dell’edificio scolastico in frantumi e danni collaterali a non finire. La stima dei danni fatta dai tecnici si aggira intorno ai ventimila euro. E gli autori? Si è saputo dalla cronaca locale che alcuni studenti dello Scientifico «Rummo» e altri di diversi istituti cittadini, avrebbero partecipato al raid. Tutti identificati. Sono ragazzi incensurati, facce pulite, figli di gente tranquilla. Dunque siamo alle solite. Ragazzi di famiglie per bene, cresciuti in ambienti sereni, che hanno pensato bene di rompere la monotonia quotidiana fatta di studio e di gesti solidali, con la voglia di andare oltre le righe e lasciare un segno indimenticabile. E devo dire che ci sono riusciti. Ecco dove ha portato «il cuore grande» di un gruppo di studenti scatenati, incoscienti, «svitati» che hanno compiuto un gesto criminale e proprio in un periodo in cui ogni notizia violenta o «esplosiva» porta a vivere la notizia con una certa emotività. Ragazzi «per bene» tanto spavaldi nell’organizzare il disastro, quanto impavidi nel nascondersi dietro le conseguenze del loro gesto. Certamente a fronte di questi scapestrati ci sono tanti altri che hanno alto il senso della solidarietà, del rispetto dei beni della comunità, ma soprattutto un severo senso civico. Ecco dov’è il problema. Si è perso tremendamente il senso civico del proprio vivere quotidiano. Questi ragazzi hanno bisogno di riprendere e riscoprire l’importanza di vivere gli uni accanto agli altri, di vivere in armonia con se stessi e l’ambiente che li circonda. Quell’armonia che è mancata, ad esempio, a certi ignoti soggetti vigliaccamente desiderosi di distruggere le panchine in legno del nostro istituto, frutto di un concreto impegno di un gruppo di studenti «dal cuore grande», messe su via Dante non solo ad ornamento di un habitat scolastico che pure ha il suo merito in fatto di attenzione, ma soprattutto a testimoniare una concretezza laboratoriale frutto di un sentito senso civico, abbracciato e condiviso. Ma questo evidentemente a certi personaggi rimasti nell’ombra proprio non interessa. Fa male vedere come l’idea di colpire un luogo «sacro» dal punto di vista culturale come considero la scuola, diventa motivo di orgoglio, affidando a gesti dimostrativi e distruttivi, le proprie sinistre capacità di sottolineare il dissenso. Questi gesti non possono e non devono essere classificati come «bravate». Sono gesti violenti e inqualificabili. Che siano opera di criminali comuni o di incoscienti ragazzi annoiati, come nel nostro caso, non cambia la prospettiva educativa, civile e sociale. In questi casi tutta la comunità dovrebbe costituirsi parte civile a tutela di luoghi e progetti che partono da precise idee per poi trasformarsi in buoni propositi e proporsi come esempi di vita. Non basta avere un cuore grande se questo non è corroborato da forti sentimenti di rispetto verso gli altri, verso l’ambiente, verso le strutture, in una sintesi di attenzione ai valori. Quello che per i genitori è una «prova» a cui si è sottoposti, per la società civile è una panzanata fatta da certi stupidi ragazzi. Non è salvifico affidare le proprie amarezze, le proprie delusioni, a dei fallimenti educativi resi amari da comportamenti condannabili e addebitati, il più delle volte, a un crudele destino. Qui c’entra poco o niente il destino. «Quello che la gente chiama comunemente destino - ci ricorda Arthur Schopenhauer - è costituito per lo più dalle stupide gesta». E non può essere classificato gesto più stupido di quello commesso dai ragazzi di Benevento. Si può definire bravata quella di mettere una bomba carta sulla soglia del portone d’ingresso di una scuola? Impariamo a chiamare le cose per come sono. Questi sono atti vandalici e perciò stessi soggetti a riparazioni. E allora che ne rispondano sia i ragazzi che i genitori. I ragazzi dal punto di vista giudiziario e i genitori dal punto di vista finanziario. Che vadano a fare un mutuo, se necessario, per pagare i danni, piuttosto che addebitarli alla comunità. Sono decisioni che tutti si aspettano. E’ un modo come un altro per riconoscere le proprie responsabilità, o meglio dire, le proprie irresponsabilità. E’ inutile indignarsi se poi nessuno paga per i gravi errori commessi. A scuola si insegna che più errori si commettono in una prova, orale o scritta che sia, più si valuta il disastro con un voto insufficiente. E più sono le materie con voti insufficienti, più aumenta la probabilità di non superare l’anno. Ecco perchè gli insegnanti insistono nell’invitare gli alunni a non staccare il «deretano» dalla sedia se non dopo essere sicuri di essere preparati. Questo significa essere credibili.

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