Il duro confronto in atto sulla scuola tra le forze politiche delle larghe intese è sotto gli occhi di tutti. Il decreto 104, recentemente approvato, comincia in questi giorni il suo cammino in commissione cultura della Camera, ma già dai primi passi lo scontro è evidente. Si ha la sensazione di essere di fronte a qualcosa che non vedrà mai la luce o, nella migliore delle ipotesi, a uno stravolgimento di quanto uscito dal Consiglio dei Ministri. Francamente mi riesce difficile comprendere perchè mai ogni qualvolta un qualche provvedimento governativo sulla scuola arrivi in commissione cultura, le acque si agitano fino a rendere insidioso il successivo passaggio parlamentare. Il ministro Carrozza sa che su questo terreno si gioca la sua credibilità e fa giustamente la voce grossa, tirando per la giacchetta quanti si siano sprecati a considerare la scuola una priorità nel programma del governo. Eppure il rischio di vedere andare tutto a carte quarantotto è molto elevato. I messaggi che si scambiano a distanza i politici di entrambe le forze della coalizione sono alquanto espliciti. Sulla scuola nulla è scontato e in questo si ripete per l’ennesima volta il tradizionale viatico che vede la scuola alla pari di un terreno di scontro, di ricatto se non addirittura di condizionamento circa la tenuta di un governo. E come non crederci. Non è la prima volta che un governo cade proprio sulla scuola. E’ successo altre volte e può succedere ancora. Riprende vigore il concetto dei tagli alla spesa pubblica anche se ad onor del vero sulla scuola tutti si erano resi disponibili a riconoscere la priorità fino ad escluderla da un piano di tagli alle risorse. Ma ora per come si mette la situazione non è azzardato affermare che la scuola non è intoccabile. C’è da aspettarsi di tutto. Può essere che qualche passaggio concordato non trovi più il necessario consenso. E allora siamo alle solite. La scuola è praticamente un campo aperto dove gli obiettivi non sono mai scontati proprio perchè gli accordi non sono mai vincolanti. A dominare la scena c’è sempre il solito spauracchio: si deve tagliare. Tagliare sulle risorse economiche; tagliare sulle figure professionali; tagliare sulla sicurezza; tagliare sulle infrastrutture, sono i nuovi imperativi delle leggi finanziarie. E poi: blocco degli stipendi; blocco degli automatismi di carriera; blocco del merito, blocco della ricostruzione di carriera per i neo assunti. Un piano reso possibile anche a causa dell’indebolimento del potere contrattuale dei sindacati che non riescono più a contrapporsi adeguatamente alla controparte politica. Quanto sono lontani i tempi del favoloso contratto con la Falcucci all’Istruzione e con Paolo Cirino Pomicino al Bilancio. Come si può uscire da questa spirale micidiale che vede la scuola sempre più indebolirsi in una società sempre meno disposta nei confronti della formazione? Forse non ci sono ricette predefinite, nè ricette della nonna. Forse non c’è nemmeno la convinzione che la formazione, la cultura, l’istruzione rappresentino il sale di una società. E se manca questa convinzione, allora tutto è possibile che accada. In quest’ottica diventa normale accettare l’idea che la scuola, ritenuta improduttiva, può anche essere soggetta a un continuo restringimento. Il passaggio successivo è del tutto conseguente. Ritenuta non più determinante per la crescita sociale, la scuola finisce col rappresentare di fatto un fardello, un consumo, un gran dispendio di energie finanziarie e professionali tale da richiedere dei correttivi. E qui i politici complicano la vita a tutti. Pur di dire e non dire ricorrono a un linguaggio estraneo ai più. Come giustificare un imperdonabile disimpegno della classe politica verso la scuola in aperta contraddizione con quanto affermato in campagna elettorale? Sentite cosa mi è toccato ascoltare di recente durante un talk show in una delle tante trasmissioni televisive con i politici seduti in poltrona a parlare di scuola: «indubbiamente oggigiorno esiste un problema della formazione che richiede però una convergenza di idee non sempre conciliabili con l’esigenza economica strutturale di un Paese». Sarebbe a dire? Voleva dire che non ci sono soldi per la scuola. Roba da andare sul posto, tirarlo giù dalla sedia e obbligarlo per un paio di ore a stare in ginocchio sui ceci dietro la lavagna. Perché certi politici devono complicare la comprensione, ricorrendo a un linguaggio forbito lontano anni luce da chi ascolta? Alla faccia dei dotti! Meglio andare a letto e dormire piuttosto che ascoltare e impazzire. Tutto questo ci fa capire quale livello di attenzione viene riservato alla scuola. A questo punto un dubbio mi assale. Siamo sicuri che la scuola rientri nelle priorità dei nostri governanti? Siamo sicuri che la scuola rappresenti un’occasione formativa unica per il futuro delle nuove generazioni? Dai tanti segnali che arrivano, non mi sembra proprio così. Sono un po’ più che dubbioso. Questo rischio il ministro Carrozza lo ha capito benissimo. Fatto il decreto sulla scuola cominciano i problemi delle note esplicative necessarie per impostare i criteri di spesa finanziaria che dal decreto derivano. Ma da più parti viene fatto presente che non ci sono soldi per la scuola. Si parla di difficoltà di applicazione delle nuove norme sui libri di testo; difficoltà di mandare in pensione il personale della scuola bloccato dalla legge Fornero (Quota 96); difficoltà di erogare fondi adeguati agli enti locali per la messa in sicurezza di tanti edifici scolastici; difficoltà di stabilizzazione di tutti i precari della scuola; difficoltà di garantire adeguate risorse economiche per il fondo di istituto. La strada è in salita. Tante sono le difficoltà nel reperimento delle risorse sulla scuola quante sono le difficoltà nel ridurre gli sprechi e certi privilegi duri a morire. Sarebbe opportuno, tanto per dare un buon segnale, tagliare drasticamente i costi della politica che tanto basta per garantire e tutelare la scuola su cui tutti per fortuna continuano a scommettere. Di converso sarebbe opportuno migliorare le condizioni di lavoro dei docenti per vederli più motivati e valorizzati. Semplici ma concreti passi avanti. Solo così si può sperare di migliorare il livello dell’istruzione.
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