Sarebbe stata una bella “Festa del Grazie” se non fosse stato per quel boccone amaro che mi è andato di traverso e mi ha reso la digestione alquanto difficile. Nulla ha potuto una pardulas accompagnata da un goccetto di liquore di mirto. Un boccone amaro arrivato dalla Sardegna e precisamente da Cagliari, Comune governato da una giunta di sinistra con a capo un Sindaco Sel (Sinistra Ecologia e Libertà), dove si saranno sfregate le mani nel leggere la sentenza della Cassazione. Di che si tratta? In sintesi la giunta di sinistra cagliaritana ha imposto a una scuola religiosa paritaria il pagamento dell’Imu e della Tasi anche se scuola impegnata in attività didattica e formativa con processi di inclusività dovuti alla presenza in istituto di studenti disabili. L’Istituto in questione presenta ricorso e la battaglia legale va avanti fino in Cassazione. Il giorno della «Festa del Grazie» leggo l’esito. L’Istituto paritario cagliaritano è tenuto a pagare le tasse richieste dal Comune in quanto le rette versate dalle famiglie rappresentano un profitto e quindi per i giudici togati l’attività amministrativa della scuola è di natura commerciale. Solo un’attività didattica svolta in modo gratuito o con il versamento di una cifra simbolica da parte delle famiglie avrebbe evitato il pagamento delle tasse comunali. Per gli amministratori pubblici di Cagliari, dunque, quella scuola paritari fa commercio e quindi fa profitti e allora che paghi! Un concetto che non farebbe una grinza se non fosse per alcune variabili. Volendo essere piuttosto pragmatici possiamo dire che i giudici della Cassazione hanno fatto una distinzione tra scuole che fanno profitti e scuole viste come luoghi educativi. Ora la maggior parte delle nostre scuole paritarie sono scuole dell’infanzia e sono gestite da religiose. Si calcola che gli alunni delle scuole paritarie sono un milione e trecentomila. E qui la prima domanda. Cosa succede se da un anno scolastico all’altro questo milione e passa di alunni passasse da una scuola paritaria a una statale? In sostanza sarebbe in grado lo Stato di reperire quasi 14 mila strutture scolastiche (10 mila dell’infanzia) tante quante ne occorrerebbero per accogliere l’enorme numero di alunni ad esse collegate? E ancora. Da fonte Miur si sa che il 90% delle scuole paritarie dell’infanzia sono senza fine di lucro e sono gestite da religiose, questo vuol dire che le rette delle famiglie diventano indispensabili per mantenere in efficienza sia le strutture, sia le proposte formative, didattico-educative, sia il personale. Ora senza fare i conti in tasca a nessuno, ma la conclusione a cui si può arrivare è lapalissiana. Il costo che lo Stato sostiene per gli alunni delle scuole statali è tre volte superiore al costo degli alunni che frequentano le scuole paritarie. Su un punto siamo d’accordo. La legge 62/2000 voluta dall’allora Ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer riconosce la parità alle scuole private. Ora però un conto sono le scuole private a scopo di lucro, su cui è bene chiedere e pretendere le tasse conseguenti, altro sono le scuole gestite da religiosi e sostenute dalle famiglie che di lucro hanno solo il 730 da presentare all’Ufficio delle Entrate per recuperare il recuperabile. Non passa anno che qualche scuola materna, che sopperisce alla carenza strutturale della pubblica amministrazione, non finisce alle ortiche e ciò rappresenta una sconfitta per lo Stato e per l’intera comunità. Una situazione su cui vanno ad infrangersi le vibrate proteste non solo di genitori, limitati nella loro libertà di scelta didattico-educativa, ma anche di congregazioni religiose, nonché di movimenti e associazioni cattoliche. Gli amministratori di Cagliari non hanno nulla da festeggiare per il felice esito del ricorso a loro favorevole. Sanno benissimo che la loro scuola religiosa paritaria è una scuola che punta a un solo profitto che è quello della qualità della proposta formativa. Ma evidentemente una battaglia ideologica vale più di ogni altro valore educativo. Ecco perchè assumono particolare rilievo gli appelli dei vescovi tendenti a incoraggiare costantemente i genitori, gli insegnanti, gli operatori scolastici impegnati a tenere in vita le strutture e le proposte tra notevoli difficoltà e grossi ostacoli provenienti da alcune forze politiche. A tal proposito assume un certo peso l’importante voce del sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi che solo qualche giorno fa ha rilasciato una significativa dichiarazione secondo cui «La libertà educativa è un elemento di primaria importanza. Siamo orgogliosi delle azioni e delle risorse che questo governo ha messo in campo e non abbiamo bisogno di chiedere agli elettori o ai simpatizzanti se sono favorevoli alla libertà di scelta educativa». E qui arriviamo al punto centrale della questione. Può una comunità educante, e la famiglia è tale, essere limitata nella sua opera, nella sua espressione, nei suoi valori educativi, etici, spirituali? Assolutamente no se non vogliamo trasformare uno Stato etico e rispettoso della pluralità, intesa come massima libertà di espressione anche in campo educativo, in uno Stato asfissiante. Credo valga la pena, a tal proposito, citare Tomas Hobbes, filosofo inglese incazzuso, quello che amava ripetere: «La vita mi fa schifo. Non penso ad altro che al suicidio», per poi morire di morte naturale alla veneranda età di novantuno anni, ebbene il suo «Leviatano», per la forza messa in campo, assomiglia per certi versi alla giunta di Cagliari che imponendo le tasse a una scuola religiosa senza fondo di lucro, non ha fatto altro che mettere in difficoltà chi si adopera nelle attività educative e formative. Se è vero che l’educazione, l’istruzione, non hanno una paternità esclusiva, è altrettanto vero che la scuola paritaria non è un esperimento educativo parallelo. E questo vale anche a livello locale. Che a parlare sia il governo centrale o l’amministrazione locale, ciò che rende una formazione politica credibile agli occhi dei cittadini è il rispetto della diversità educativa intesa come ricchezza di una presenza nella comunità educante. A livello centrale c’è voluta la Perugia-Assisi per dare alla luce i nuovi «francescani» del terzo millennio. Ma per essere credibili in campo educativo e formativo, più delle marce «perugine» nella zona dove si mangia del buon cioccolato, da chiunque siano organizzate, più delle promesse elettorali, possono gli atti concreti che creino le condizioni per immettere ossigeno là dove qualcuno è abituato a mettere ozono. Che qualcuno sulla via di Assisi sia stato folgorato come Paolo di Tarso sulla via di Damasco? Sperem!
© RIPRODUZIONE RISERVATA