Maestà, il popolo chiede cemento! Il titolo è uno stravolgimento della famosa frase che precedeva la Rivoluzione francese, si disse che si rivolsero a Maria Antonietta dicendo: “Maestà, il popolo chiede pane” e lei rispose : “dategli le brioche”. Cosa vuol dire ? Vuol dire che ci sono dei consumi che vengono creati ad arte, dei bisogni che vengono creati ad arte. E’ stata fatta passare l’idea che non sia poi così importante tutelare la campagna, davanti ad altre possibilità. Come tutti gli anni, con l’arrivo della bella stagione tiro fuori la mia vecchia bicicletta che mi accompagnerà fino agli ultimi pallidi soli d’autunno in giro per la campagna del basso lodigiano. A volte decido di andare verso Lodi, altre volte le colline di S.Colombano, spesso verso la bassa di Orio Litta, Senna, Valloria per spingermi magari fino ai più sperduti e bellissimi luoghi come Meleti, Corno Vecchio, Caselle Landi, Maccastorna e Gerrone con le loro isolate cascine, i loro borghi antichi, le loro stradine sbilenche segnate dalle pozzanghere e dalla polvere in estate. Ogni volta però, la fotografia non è più come l’avevo lasciata l’anno precedente, mentre pedalo mi accorgo che quel campo di erba medica dove l’anno prima mi fermavo ad osservare le allodole che scendevano in picchiata dal cielo in un volo disordinato, ora è occupato da un enorme prefabbricato in cemento e gran parte del prato è stato coperto da uno strato di catrame per farne il parcheggio per gli automezzi. Sorgono ovunque come funghi, gigantesche rotonde spartitraffico, anche dove non serve. Sempre più numerosi sono i campi sacrificati nel nome del progresso; nelle campagne di Livraga una lunga lingua d’asfalto si sta impadronendo di alcuni campi agricoli nei pressi dell’Autosole. Ad Orio Litta, ettari di terreno agricolo sono sventrati da cave per l’estrazione della sabbia, Codogno è oramai attaccata con i suoi capannoni industriali alla frazione Triulza, fra Somaglia e S.Martino Pizzolano rimane l’ultimo spazio verde di un centinaio di metri che spezza la continuità del cemento, c’è da esserne certi che durerà ancora per poco, a breve, i due paesi saranno uniti per sempre. A Senna è stato archiviato per il momento un capitolo doloroso riguardante l’installazione di una mega discarica. A Vittadone si parla di un nuovo insediamento logistico, a Casale si vorrebbe costruire una nuova caserma dei Vigili del fuoco, sacrificando ancora una volta aree agricole, ed è dell’ultima ora la notizia di impiantare sempre a Casale un’inceneritore di rifiuti farmaceutici. C’è da rimanere sgomenti, i nostri amministratori ci diranno sicuramente che i fumi inquinanti rispetteranno le norme stabilite. Tralascio altre situazioni perché l’elenco sarebbe troppo lungo. Il nord lodigiano è ormai ridotto ad un’oscena poltiglia cementizia di capannoni, villette a schiera, aree industriali, villini con i nanetti in giardino e centri commerciali. Diversamente,la campagna dell’estremo sud del Lodigiano, quella che si affaccia quasi sul corso del Po sembrava non essere ancora intaccata dal “ progresso che avanza“ invece, anche paesi sperduti e tranquilli come Meleti e Maccastorna stanno ormai diventando terra di conquista. Le ruspe sono in agguato come per dare sfogo all’unica vera vocazione di questo nostro popolo di cialtroni che non vedono, come diceva Montanelli, di là dal proprio naso: l’autodistruzione. Nella distruzione del nostro territorio, la responsabilità è nella classe dirigente, non solo quella politica, ne siamo responsabili tutti; La campagna lodigiana era un capolavoro d’armonie, era un miracolo d’intelligenza, di gusto, di cui credo non aveva uguali al mondo, una concezione rigorosa delle linee e delle proporzioni che nulla concedeva al superfluo, i prati sembravano pettinati, i filari di gelso sembravano raccontare la biografia dei nostri nonni. Guardate ora a cosa lo stanno riducendo le speculazioni edilizie che non trovano freni e controlli nei pubblici poteri, e quando li trova li aggira con la corruzione. Tra il 1990 e il 2005, secondo i dati di Legambiente, in Italia la superficie agricola si è ridotta di 3.663.000 ettari, un’area grande quanto il Lazio e l’Abruzzo messi insieme, abbiamo cementificato e degradato in quindici anni il 17.06% del nostro suolo agricolo. E l’assalto continua. La crescente penuria di risorse ha spinto i Comuni a cercare nuove fonti d’introito, fra cui in particolare gli oneri di urbanizzazione e l’ICI, anche a costo di allentare la guardia sulle autorizzazioni a costruire, o peggio, di stimolare l’invasione del territorio modificando piani regolatori, concedendo eccezioni e deroghe, “ chiudendo un’occhio “ o più spesso entrambi. Un bel paesaggio una volta distrutto non torna più e se durante la guerra c’erano i campi di sterminio, ora c’è lo sterminio dei campi; fatti che apparentemente distanti fra loro, dipendono tuttavia dalla stessa mentalità. Cara Dinìn, quando raccontavi che nel paese di tua madre vi era un campo quadrato cinto di gelsi, e di là da quel campo quadrato, altri campi cinti di gelsi, poi dicevi che la terra si allargava a misura di cielo e non si sa dove vada a finire… non farti prendere dalla nostalgia di tornare a vedere la tua campagna lodigiana, non riconosceresti più i campi di tua madre.
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