Ma i prof cambino mentalità

A volte leggendo certe notizie, si ha l’impressione che qualcuno provi gusto nell’affossare la categoria degli insegnanti, ma poi forse è meglio non lasciarsi prendere da una reazione emotiva e a mente più serena scoprire che talvolta non tutto il male viene per nuocere. Dov’è il male questa volta? Nella preparazione culturale e professionale degli insegnanti. Com’è possibile che su 300 candidati presentatisi in Friuli per sostenere la prova scritta del concorsone, siano rimasti in piedi solo 29. E gli altri 271? Che fine hanno fatto gli altri? Ebbene la gran parte degli aspiranti docenti non hanno superato la prova. Sono caduti. In parole povere sono stati «bocciati». Brutta faccenda. Questa è una notizia che non può passare nell’indifferenza. Per arrivare a unasimile clamorosa debacle da parte degli aspiranti docenti bisogna chiedersi, prima di tutto, a cosa si deve questo tremendo deludente risultato. Significa che quasi tutti quelli che si sono presentati a sostenere la prova scritta non sono riusciti a dimostrare quella preparazione culturale ritenuta indispensabile e necessaria per affrontare la professione docente. E non è detto che la storia finisca qui. C’è ancora la prova orale che i superstiti devono affrontare prossimamente. Sarebbe incredibile se a conclusione degli orali ci trovassimo di fronte a un’ulteriore scrematura. Del resto le motivazioni apportate dai commissari per giustificare una simile falcidie, lasciano l’amaro in bocca. C’è da rimanere sbigottiti se pensiamo che alla base di questa clamorosa decisione ci sono: «Errori ortografici, grammaticali, sintattici, risposte lasciate in bianco o fuori tema». Attenzione. Stiamo parlando di candidati che già insegnano, che hanno sulle spalle anni e anni di esperienza didattica e che all’improvviso, messi di fronte a una prova selettiva, scoprono di non saper scrivere correttamente o di avere dei vuoti culturali. Questi candidati non sono novellini, al contrario sono insegnanti precari con svariate esperienze di insegnamento all’attivo. A questo punto due sono le riflessioni da fare. O la commissione d’esame è stata troppo severa ed eccessivamente selettiva nel correggere le prove, o i candidati alla docenza non erano poi tanto convinti della scelta professionale fatta al punto da affrontare le prove con una certa superficialità. Una delle due ha condizionato pesantemente l’obbiettivo finale. Eppure i commissari, per quanto sia documentato, hanno fatto il loro dovere con imparzialità e saggia severità. Se qualcuno ha sbagliato questo qualcuno va ricercato sicuramente tra gli aspiranti della futura classe docente che vuoi per scarsa convinzione, vuoi per scarsa preparazione crede comunque di trovare nella scuola un’alternativa al grigiore di una vita priva di emozioni. Non è possibile immaginare di immettere in ruolo nelle nostre scuole docenti la cui scelta sia un ripiego o la cui preparazione sia lacunosa. Al di là di ogni ragionevole dubbio, una cosa è certa. Questa non è una bella notizia. Anche se, a rendere la medicina meno amara, ci sono le recenti dichiarazioni rilasciate dalla Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, che in visita presso una scuola di Napoli non ha esitato a dire che gli insegnanti: «sono gli eroi del nostro tempo, sono l’Italia migliore che c’è e non si vede, l’Italia bella e sana che reagisce». Sarà anche questo e non c’è motivo per non crederci, tuttavia quanto accaduto in Friuli ci porta a un altro problema: la valutazione della classe docente. Se deve essere selezionato mediante una severa valutazione quel docente che di ruolo vuole diventare, allora bisogna trovare un sistema di valutazione per quel docente che di ruolo lo è già. Un problema ancora oggi irrisolto nonostante la stessa Unione Europea già dal 2011 abbia posto, per la scuola italiana, delle condizioni ben precise. I docenti vanno valutati non solo per migliorare la pratica didattica fine a se stessa, ma anche per garantire il miglioramento della prestazione attraverso uno sviluppo professionale. Per fare questo occorre una svolta a 360 gradi. Deve necessariamente cambiare una mentalità culturale che negli ultimi decenni ha accompagnato la nostra classe docente. Per aspirare a diventare insegnanti probabilmente non basta più la vocazione, il senso della missione, occorre anche la convinzione di intraprendere un cammino che richiede grande disponibilità al confronto, grande capacità a mettersi in gioco, a vincere le resistenze, a dichiararsi aperto ai cambiamenti, a puntare ad un aggiornamento continuo e permanente. Tutto questo probabilmente fa paura o quanto meno fa fatica ad essere accettato poiché contrasta con la voglia della ricerca del nuovo che avanza. Non è più possibile rimanere bloccati su posizioni che finiscono per alimentare un tabù o peggio ancora una sorta di sindrome da alienazione valutativa fino a trasformare la negazione in una pericolosa patologia da stress per cui ogni qualvolta si parli di valutazione docente scatta una serie di difese immunitarie più o meno ossessive. E basta con tutto questo. Ce lo chiede quel 90% escluso dal concorso in Friuli; ce lo chiede la voglia di ritrovare quella dignità sociale così fortemente compromessa; ce lo chiede il desiderio di ritrovare quel riscatto morale messo spesso a dura prova dai tanti episodi che hanno avuto la sola sorte di mettere in ridicolo la classe docente. Non è possibile parlare di qualità didattica a prescindere da una valorizzazione professionale. Si sa che temi così delicati richiedono tempo e condivisione senza i quali difficilmente si potrà costruire qualcosa di nuovo. Ma in quanto a tempo forse è meglio dire che se ne è consumato abbastanza. Risale al 2000 il fallito tentativo dell’allora Ministro Berlinguer di introdurre un sistema di valutazione; in quanto a condivisione, invece, la ricerca di un punto d’incontro con le parti interessate non si è mai esaurita. Anche in questo caso è dal 2000 che tutti, sindacati e docenti si sono dichiarati disponibili a trovare una convergenza di consenso in fatto di valutazione, salvo poi smentire ogni tentativo messo in campo, reagendo alle proposte con scioperi e contestazioni. Risultato? Ancora oggi nulla si è riuscito a condividere. Nulla di concreto. E allora il dubbio mi assale. Ma i docenti vogliono veramente essere valutati?

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