L’Italia non è il Belgio. Il paragone non regge. Basta pensare all’ordinaria amministrazione, cioè al pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, senza trascurare gli interventi fiscali o sull’Iva. Si obietta: se a Roma non c’è un esecutivo, ce n’è uno solidissimo a Berlino con addentellati a Francoforte, sede della Bce guidata dall’italiano Mario Draghi. Giusto, vale anche per la Grecia in dissesto… Ma può l’ottava potenza economica mondiale (in recessione da quasi sei anni) essere non-governata a lungo? È vero o no che l’Italia “comunque ce la fa”, a prescindere da chi e come la governa? Si leggono e ascoltano sempre più frequentemente discorsi di questo tipo: non c’è un esecutivo? Pazienza, l’Italia va comunque avanti e si evitano i danni collaterali di un cattivo governo. Insomma, non ci costa nulla a rimanere nel limbo, anzi… E si cita, a supporto di questa tesi, il recente esempio del Belgio, che è rimasto per più di un anno nella fase in cui siamo noi ora, senza per questo sprofondare nel Terzo Mondo.Beh, il fatto che tanti altri esempi non sovvengano alla mente oltre a quello belga, fa già capire che ovunque nel mondo si preferisca averlo un governo - magari stabile ed efficiente - rispetto all’anarchia. Che è tipica della Somalia o di alcune zone della Bosnia: non certo due Paesi da prendere come esempio. Il Belgio poi è un Paese spaccato in due, che fa enorme fatica a far sintesi politica tra il Nord fiammingo e il Sud francofono. Ma è pure un Paese piccolo, ricco di suo, ben governato a livello locale, comodamente stretto tra Francia e Olanda. Non prendiamolo ad esempio, che con l’Italia ha davvero poco da spartire.Quindi, torniamo al punto economico: cosa abbiamo da perdere da una transizione politica che non produce governo? Moltissimo, e già il fatto che la situazione non produca un forte allarme sociale è assai preoccupante. In realtà gli allarmi particolari si susseguono, tante voci si alzano da più parti a invocare la fine dello status quo. Quasi tutte dall’economia, dal mondo reale del lavoro e della produzione. Si può far senza per molto tempo delle polemichette politiche e delle dichiarazioni ad uso tiggì; ma ci sono decreti da emanare, regolamenti da completare, sgravi fiscali da accordare o togliere, decisioni sull’Iva (a proposito: dal primo luglio cresce al 22%) o sulla tassa rifiuti… E solo per rimanere in quell’”ordinaria amministrazione” espletabile da qualsiasi governo, di qualsiasi colore. Si veda ad esempio la recente decisione del governo Monti (sì, un governo in carica ce l’abbiamo, anche se senza alcuna forza parlamentare di sostegno) di far pagare dalle pubbliche amministrazioni una quarantina di miliardi di euro di arretrati ai propri fornitori. Dove reperire quei soldi, è una decisione puramente politica, che qualifica i partiti e i loro programmi; la scelta pilatesca di scaricare la cifra sul debito pubblico sposta necessariamente la decisione ad un futuro governo politico, che dovrà decidere cosa fare dei duemila e passa miliardi di debiti che abbiamo, e degli 80 miliardi di interessi che paghiamo sugli stessi ogni anno. Trascurando, infine, che il pagamento di quegli arretrati abbisogna di qualcosa come 22 passaggi regolamentari da definire. Senza i quali rimarrà pura volontà senza effetti pratici.Appunto, stiamo parlando di ordinaria amministrazione, perché il pagamento di fatture di spesa - in un Paese normale - dovrebbe essere ordinaria amministrazione. E il resto? Le famose “politiche per lo sviluppo economico”? I “tagli della spesa”? Le da tutti condivise “riforme” per riattivare un’Italia che non cresce economicamente dal 1992? L’inerzia - come ha recentemente denunciato Confindustria - non è indifferente per le nostre vite. Mentre a Roma si discute, a Sagunto si chiudono importanti aziende (è ormai uno stillicidio); falliscono migliaia di piccole realtà, quelle che fanno il tessuto economico del nostro Paese; si bruciano centinaia di migliaia di posti di lavoro senza crearne alcuno. E addirittura non si sanno dove trovare i soldi per la cassa integrazione, mancando un governo deputato a farlo. Il nostro export sta tirando, ma in assoluta solitudine; il sistema-Paese non sta accompagnando nessuno alla conquista del mondo. I nostri vicini-concorrenti hanno una Merkel, un Hollande, un Cameron, finanche uno spagnolo Rajoy che girano il mondo a caccia di commesse per i loro campioni nazionali, dalle ferrovie ad alta velocità cinesi alle joint venture automobilistiche fino al supporto dei sistemi bancari nazionali. Qui, appunto, traccheggiamo. Ma c’è chi tranquillizza gli ansiosi sottolineando un dato di fatto: se a Roma non c’è un governo, ce n’è uno solidissimo a Berlino con addentellati a Francoforte, sede della Bce guidata dall’italiano Mario Draghi. Insomma possiamo sbandare quanto vogliamo, ma alla fine ci sono sponde alte di protezione che ci impediranno di uscire fuori di strada. Le stesse parole che si dicevano ad Atene, all’alba del 2010.
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