Ma chi ha paura del crocifisso?

Sinceramente non se ne sentiva il bisogno. Il caso della scuola elementare di Bologna, dove una maestra ha deciso di togliere il crocifisso dalle pareti dell’aula con una motivazione che suona singolare - “Non me ne faccio nulla”, avrebbe spiegato, secondo quanto riferiscono gli organi di stampa - rientra in una casistica che si alimenta ogni anno e che suscita periodicamente una serie di polemiche, perlopiù sterili, tirando in ballo di volta in volta i temi della tolleranza, della laicità, della confessionalità e chi più ne ha più ne metta. La questione in sé è abbastanza semplice: un regolamento (e poi sentenze varie, dal Consiglio di Stato alla Corte di Strasburgo) prevede che i crocifissi nelle aule ci stiano, così come è assodato, per dirla ancora con i giudici della Grande Camera della Corte dei diritti umani, che la presenza di un crocifisso sulle pareti di una classe di una scuola pubblica, dove dunque si possono trovare persone di orientamenti etici e religiosi differenti, non lede né il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni, né il diritto degli alunni alla libertà di pensiero, di coscienza o di religione. Del resto, già il Consiglio di Stato ha spiegato bene che proprio il crocifisso in Italia “è atto a esprimere, appunto in chiave simbolica ma in modo adeguato, l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana”, Simbolo religioso, certo, ma anche culturale, in nessun modo “obbligante” a una fede. Non viola, dunque, la laicità.Eppure, periodicamente ecco chi questiona sulla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici e specificamente nelle aule scolastiche. Quasi che il crocifisso fosse un pericolo. Ma chi e perché ha paura di un Gesù crocifisso appeso al muro?Verrebbe da pensare a ben altri crocifissi che dovrebbero incutere, se non paura, quantomeno quel sano timore che inquieta le coscienze. Immediatamente la cronaca ci riporta ai migranti morti in mare, ai disperati che fuggono dall’inferno spesso per trovarne uno peggiore, alle emarginazioni crescenti dei nostri giorni, ai senza lavoro... Anche a questi crocifissi viventi rimanda il simbolo sul muro. Insieme alla responsabilità personale e collettiva, all’interdipendenza tra le nostre case, le aule delle nostre scuole, le strade delle nostre città, le spiagge di Lampedusa...Pensieri solo accennati, che però ne fanno fare un altro, relativo a quel “non me ne faccio nulla” indicato come motivazione per la rimozione del crocifisso nella scuola di Bologna. E in effetti cosa dobbiamo “farcene” di un crocifisso sul muro? A cosa serve? Per fare lezione magari è più utile la lavagna, meglio se multimediale...Eppure c’è un altro livello di “utilità”. La forza evocativa del simbolo, il richiamo inerme e muto alla dignità della persona, come alla diversità e alla marginalità: sono rimandi a significati e valori che proprio a scuola s’impara a “padroneggiare”, con i quali ci si misura crescendo. Perché la laicità non è neutralità indifferente e la scuola non è un luogo asettico. Piuttosto è palestra di dialogo, incontro e scontro, meticciato di persone e valori... tensione educativa, passione per l’uomo. Qui, proprio qui - se proprio vogliamo pensarci, “laicamente”, s’intende - il crocifisso non sfigura.

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