Perché il direttore del «Quotidiano Sportivo» per il solo fatto di aver apostrofato con «trio delle cicciottelle» le nostre atlete classificate al quarto posto del tiro con l’arco alle ultime Olimpiadi di Rio de Janeiro è stato rimosso seduta stante dal proprio editore, mentre i giornalisti che definiscono «capre deportate» o peggio ancora «semianalfabeti che scioperano» quei docenti che a causa di uno strano algoritmo ministeriale si sono ritrovati sbattuti nei quattro cantoni del nostro territorio con gravi ripercussioni sullo stesso menage famigliare, non si sono visti arrivare sulla scrivania nemmeno uno straccio di rimprovero scritto? Forse che un insegnate vale meno di un atleta? O semplicemente perché la figura dell’insegnante è caduta in una sorta di oblio sociale tale da non essere più ritenuta degna del dovuto rispetto? Diciamo pure la verità. L’insegnante oggi è lo stereotipo patetico della figura sfigata, racchiusa in una cultura che continua a snobbare l’educatore visto nel suo rapporto tradizionale, abbondantemente superato dagli eventi che chiedono altro e che trovano nei genitori dei validi alleati nonché sostenitori. Ma allora se è così cerchiamo di capire cos’è quest’ «altro» dettato dagli eventi a causa del quale l’insegnante è caduto in disgrazia. Cominciamo col dire che dagli anni settanta in avanti è molto cambiato il rapporto tra genitori e figli. Si è passati da un rapporto patriarcale ad uno amicale entrambi comunque rappresentano l’eccesso nella relazione famigliare. Il padre «patriarca» è una figura culturale trasmessa di generazione in generazione fino a quando la rivolta sociale degli anni settanta l’ha messa in discussione. La società cambia e con essa cambia la cultura delle relazioni. La figura genitoriale, nel rapporto educativo, perde di consistenza e conseguentemente di autorevolezza. Si pone ora un problema. Come fare a recuperare il rapporto con i figli? Si sceglie la via più semplice: diventare amici. Con l’amicizia molti genitori pensano di amare di più e meglio i propri figli. Qualche pacca sulle spalle, qualche regaluccio in grado di soddisfare dei desideri, qualche accordo che certifica una solida intesa, niente di cui pretendere, niente rimproveri, niente di niente. L’amicizia è più vantaggiosa e più produttiva di un sentimento d’amore verso i figli. Tutto ok? Macché! Un disastro. Ed ecco che questo stile privo di etica relazionale arriva anche nelle scuole. Nasce la cultura del permissivismo tanto che l’alunno può contare su un alleato forte, pronto a difenderlo sempre e comunque come si fa tra veri amici. E’ l’epoca del professore che non si deve permettere di rimproverare, perché il rimprovero non fa parte della cultura famigliare; che non si deve permettere di essere severo, perché la severità è un patrimonio sociale del passato; che non si deve permettere di pretendere la disciplina, perché questo condiziona la psicologia dei rapporti. A questo punto è meglio ricordare quanto scrive Platone ne “La Repubblica”: «Quando il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari non è rispettato; quando il maestro non osa rimproverare gli scolari, questi si prendono beffa di lui». Stiamo parlando di un signore che scriveva queste cose più di duemila anni fa. Evidentemente il mondo sotto certi aspetti è sempre lo stesso. Anzi no. Il mondo è cambiato, ma in peggio. Oggi i professori vengono minacciati quando un tempo erano ossequiati, insultati quando un tempo erano omaggiati, aggrediti quando un tempo erano difesi, trascinati in tribunale quando un tempo erano ascoltati, sbeffeggiati quando un tempo erano lodati. E allora perché meravigliarci se la figura del professore è socialmente scaduta, se il confronto tra genitori e professori è impari, se la disciplina in classe non ha più riscontro educativo, se la difesa tout court dei propri pargoli è uno stile a cui nessun genitore si sottrae. E se questo è un dato di fatto, perché meravigliarsi quando dei giornalisti definiscono «capre deportate» quei docenti costretti a raggiungere sedi di lavoro poste all’altro capo dello stivale, o «semianalfabeta chi sciopera» chi lotta per i propri diritti? «This is legal», «questo è legale» dicono gli inglesi. Già è legale. Del resto offendere o insultare una persona non è più un reato penale. Con il Decreto Legislativo n°7 del 15 gennaio 2016, infatti, questi tipi di reati sono stati declassati a illeciti civili e pertanto si può arrivare al massimo ad ottenere qualche multa eventualmente comminata da un giudice di pace. Dunque se la cultura prevalente è questa, non ci rimane che cominciare daccapo e riscoprire l’importanza dell’educatore, del formatore, del testimone di valori. La riscoperta passa da una radicale innovazione di pensiero che non guarda più all’insegnante come depositario di nozioni, ma come persona che deve necessariamente lavorare con i ragazzi, perché sono loro il futuro. Lasciamo perdere gli adulti, lasciamoli al loro destino, loro sanno come riparare a un danno, loro sanno come rimboccarsi le maniche come hanno fatto i nostri padri nel dopoguerra. Del resto è difficile educare un adulto, quanto è facile, invece, puntare sui ragazzi. Pensiamo ai giovani ai quali stiamo offrendo uno squallido modello di vita. E’ opinione diffusa che per ottenere qualche buon risultato, occorre partire dalla testimonianza. Un insegnante non deve essere un accademico, ma padrone della comunicazione per capire e farsi capire. «Mi accorgo di aver fatto una buona ora di lezione se ho imparato qualcosa» amava ripetere Giovanni Gentile filosofo e pedagogista. E questo è il punto. Perché capire e farsi capire presuppone un’attenzione e una predisposizione che solo chi è un testimone intellettuale e sociale riesce a trasmettere. Bisogna essere vicini ai propri alunni, essere umani senza per questo non essere severi nella propria opera di insegnanti. La scuola per raggiungere il suo scopo principale non può fare a meno di riscoprire la propria genitorialità sociale attraverso la testimonianza dei suoi insegnanti fonte di valori per adulti e genitori in particolare. Non c’è più tempo da perdere. Cominciamo con decisione ad occuparci socialmente dei nostri allievi fin dalla scuola materna, a correggerli con pazienza, a smentire, se necessario, i genitori quando sbagliano. L’opera richiede tempo anche se il tempo purtroppo corre senza darci tregua. «La cattiva notizia è che il tempo vola. Quella buona è che tu sei il pilota», ama ripetere Michael Altshuler autore di libri sulla psicoterapia.
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