Per fronteggiare la crisi ci troviamo immersi in un clima di austerity. Le famiglie dimostrano una alta capacità di reazione. Lo rilevano diverse indagini. Però rimangono ancora lasciate a se stesse, dato che aumentano del 5% in media i giovani nuclei familiari che vertono in condizione di povertà. La propensione al risparmio delle famiglie, rilevata dall’Istat, nel 2011 è al 12%: la più bassa mai vista dal 1995. Purtroppo, secondo i dati della stessa indagine, diminuisce anche il potere di acquisto di circa lo 0,3%. Il risultato finale non è incoraggiante: per rispondere alle nostre spese spendiamo di più e a volte non si riusciamo nemmeno a mantenere lo stesso livello di consumi del 2010.
Malgrado il clima di ristrettezza le famiglie italiane continuano ad occuparsi dei loro giovani. Infatti nel periodo più intenso di crisi attraversato dal mercato del lavoro oltre 480 mila famiglie hanno sostenuto almeno un figlio convivente che aveva perso il lavoro.
Si conferma così una realtà del nostro Paese.
La famiglia è un efficace ammortizzatore sociale che riesce a reagire velocemente; di fronte alle difficoltà rimodula i suoi bisogni e interviene sulle emergenze.
Questi comportamenti virtuosi dovrebbero essere considerati, quando si tratta di nuovo impulso allo sviluppo dell’Italia. Per reagire alla crisi vediamo interventi per sostenere le banche e i loro debiti, per riavviare gli investimenti delle imprese e i loro affari, per modificare il mercato del lavoro rendendolo più flessibile: tutte cose importanti, certamente.
Però poi, a ben guardare, sottopressione ci finiscono le famiglie, perché le misure adottate per trovare le risorse si concentrano sull’Imu, una tassa sulla casa che è un patrimonio familiare, e sul lavoro dipendente, quello che alimenta il reddito delle famiglie del ceto medio.
Di sicuro dare ossigeno al sistema economico è utile.
Tuttavia non si possono spremere soltanto le famiglie, perché sono una risorsa concreta.
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