La scuola si avvicina all’impresa

Si sono appena chiusi i battenti sulla fiera delle Imprese Formative Simulate che già si potrebbe tentare di fare un primo bilancio su una proposta originale e nello stesso tempo interessante, stimolante, ma soprattutto fortemente innovativa: la scuola che tira la giacchetta all’impresa. Quando parliamo di scuole e di imprese, ci accorgiamo subito di trovarci di fronte a due realtà complesse, ma non per questo prive di vitalità. Una prima puntigliosa riflessione potrebbe creare una errata valutazione della problematica in essere, tuttavia conviene correre il rischio se si vuole contribuire a cambiare una mentalità, una cultura, una voglia di migliorare i processi di interazione per crescere in proposta, ricerca e azione. Non bisogna nascondere la testa sotto la sabbia. Anzi. Bisogna ammettere con serenità e senza vis polemica, che le due realtà, ancora oggi, o sono distanti o fanno molta fatica a incontrarsi, a parlarsi, a cercarsi. Naturalmente non mancano esempi di singoli imprenditori, per lo più di piccole realtà produttive, o di organismi associativi che vanno esattamente nella direzione opposta, ma sono esempi isolati, lasciati più alla sensibilità dei singoli o delle associazioni di categoria, che non a una voglia di cambiamento. Di fatto scuola e impresa sembrano due realtà che corrono su binari paralleli senza mai incontrarsi o, se proprio vogliamo dare un cenno di speranza, questo lo si deve alle rare vicendevoli attenzioni caratterizzate da un sordo entusiasmo, reso esplicito da un acerbo e freddo rapporto. Si può forse parlare di incomprensioni? Non direi. Più che di incomprensioni sarebbe più corretto parlare di una cultura che fatica non poco a demolire certe barriere che resistono all’usura del tempo. Come quel guardarsi a distanza senza dare spazio a un costruttivo rapporto capace di sciogliere certe strane, reciproche diffidenze fatte di una tradizionale autoreferenzialità quando parliamo di scuole e di uno splendido isolamento preferito dalle imprese. Altro non trascurabile elemento che mantiene la diffidenza piuttosto solida, è la non adeguata preparazione dei giovani ritenuti ancora deficitari di specifiche competenze proprie di un sistema produttivo. E’ una lamentela ricorrente. Molti giovani diplomati, tenuti sotto scacco da entusiasmanti processi teorici, messi di fronte alla realtà produttiva, mostrano spesso qualche crepa. Di qui la necessaria programmazione di percorsi formativi tesi a qualificare ciò che si è appreso sui libri. Eppure la risposta per riprendere e riannodare elementi fondati che sappiano condurre senza problemi uno studente da una preparazione teorica a una pratica, esiste. Ora se può essere di difficile esecuzione dipanare il nodo impresa, non così è per la realtà scolastica che potrebbe raggiungere diversi traguardi mediante nuove strategie formative e puntare così, senza condizionamenti, a cambiare una mentalità, una cultura e con esse una realtà. E qui entra in ballo l’attività laboratoriale. Un’attività metodologica vissuta come esperienza in situazione che consente di vivere con agilità determinati processi formativi. In parole povere scuola e impresa devono andare alla ricerca di uno stesso linguaggio per meglio comunicare, per costruire un rapporto nuovo e sentirsi, senza complessi, l’una complementare all’altra. Spesso capita di assistere a imprese pronte ad affidare la propria visibilità ad azioni strumentali che, per quante generose, non agiscono da collante come dovrebbero. Per rendere più costruttivo un rapporto bisogna cambiare registro. Entrambe le realtà possono assolvere ai rispettivi ruoli in modo virtuoso. Si comprende, allora, che tra i modi virtuosi, il meno proficuo è, paradossalmente, quello più tradizionale, quello che più di ogni altro si materializza, lasciando poco spazio a un’azione condivisa. E mi spiego. Più di una scarna richiesta di un elenco di diplomati, più di una specifica donazione di beni strumentali, può un lavoro di collaborazione fatto di ricerca, fondata su progetti pensati, vissuti e coordinati dalle migliori energie delle due realtà. Docenti e imprenditori si troveranno così tra le mani la gestione di un rapporto costruito e mediato da idee convergenti, espressione comunque della propria autonomia, sostenuta da registri diversi, ma uniti da singolari specificità. Solo un modo diverso di incontrarsi, di conoscersi, di aprirsi alle novità, permetterebbe quella necessaria simbiosi tra studio e lavoro. L’alternanza scuola-lavoro è una risposta, ma da sola non basta. Incontrarsi in maniera congeniale, vuol dire progettare e gestire insieme, vuol dire non solo dare un valore aggiunto ai processi formativi che sono propri di una scuola, ma anche una solida opportunità alle risorse produttive del territorio. Essere al fianco di una scuola vuol dire vivere con essa in una tale simbiosi da andare oltre il semplice «soccorso finanziario» che, sia pur gradito, rischia di essere considerato episodico. Essere a fianco di una scuola vuol dire essenzialmente costruire in maniera consapevole e senza sussidiarietà, un sistema, un proficuo intreccio, fino a sentirsi vicendevolmente corresponsabili di processi e soluzioni alla portata di tanti giovani diplomati e laureati. Gli imprenditori non devono temere di entrare nelle scuole, di caricarsi di una parte del sistema, di rendersi coartefici di determinati processi formativi. Solo entrando nelle scuole si avrebbe una giusta percezione di quale e quanta aspettativa circoli nelle aule, tra i banchi, di come sia così diffusa tra i giovani la voglia di vivere lo studio come una concreta risposta al desiderio di essere al passo con i tempi. E’ inutile aspettare di essere invitati, giacché un vero imprenditore per essere definito grande deve farsi avanti senza che da nessuna scuola arrivi un formale invito. Sentite cosa diceva Socrate, a proposito di inviti, a un perplesso Aristodemo incerto se presentarsi a un banchetto senza invito: «Seguimi: i buoni vanno al banchetto dei buoni per loro spontanea volontà». Se al buon Socrate piaceva bere tra un simposio e l’altro (pare che reggesse bene ai numerosi calici pieni di vino), a un buon imprenditore deve piacere costruire un rapporto tra una scuola e l’altra (e reggerle).

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