Ci sono fatti e opinioni attorno ai quali i ragazzi talvolta dimostrano di sapersi districare con più “cum grano salis” di qualsiasi altro adulto. E’ quello che penso a proposito di quanto accaduto al Liceo Scientifico “A. Roiti” di Ferrara. La notizia è di questi giorni, ma la lettera che il preside Donato Selleri ha inviato alle famiglie tramite il sito dell’Istituto è del 16 dicembre scorso ovvero di qualche giorno prima dell’avvio delle vacanze natalizie. La scelta del periodo, credo, risponda più a un dato strategico che non a un contesto di governance. È praticamente un invito rivolto a tutti, studenti e genitori dell’istituto, a riflettete durante le vacanze sul contenuto della missiva. Devo ammettere, il contenuto è molto interessante. Ma ancor più interessante, ritengo, sia la risposta che gli studenti dell’UDS (Unione degli Studenti) di Ferrara hanno dato al preside lo scorso 27 dicembre. Vediamo in breve di che si tratta. Partiamo dalla missiva del mio collega che solleva un problema non da poco: l’abbigliamento dei ragazzi a scuola. Sotto accusa sono i «famigerati» pantaloni strappati tanto di moda di questi tempi tra giovani e giovanissimi. Spacchi e strappi resi ad arte da sapienti stilisti al punto da imporre uno stile di vita, facendo leva soprattutto sui giovanissimi ottimi consumatori di prodotti usa e getta. Ebbene devo dire che su questo argomento il mio collega ha pienamente ragione anche se ricorre ad espressioni colorite, ma pur sempre ad effetto tanto da rendere alquanto efficace il concetto. Non c’è pantalone di ragazzo o ragazza che non presenti ampie «fessure» con esposizione all’aria aperta di parti anatomiche proprie dell’universo corporale riconoscibili ad occhio nudo. Rotule, femori, polpacci, calcagni, pezzi di natiche semicentrali, sono a disposizione di curiosi o ricercatori di studio del fenomeno in atto. Certo i tempi sono diversi dai miei vissuti in gioventù allorché se tornavo a casa con i pantaloni strappati a causa di qualche caduta accidentale, erano rimproveri a non finire che potevano sfociare in «mazzate» quando in casa l’aria era irrespirabile. Pantaloni che venivano rattoppati con toppe di velluto rammendate da mani abili col fine ultimo di riutilizzarli ancora per anni. Li avessi conservati in naftalina quei pantaloni strappati, chissà cosa ci avrei guadagnato oggi. Questi particolari pantaloni hanno sì un mercato florido tra i giovani, ma, ad onor del vero, li ho visti indossati anche da giovani donne con strappi ornati da preziose collanine penduli ben assestate tali da «addolcire» l’immagine di quel pezzettino di ginocchio che fra l’imbarazzo e la vergogna si fa strada con timido capolino. Al di là dell’ironia il problema comunque resta ed è serio. Ancor più serie appaiono le motivazioni comunicate dal mio collega a sostegno della sua tesi per cui la scuola non può rimanere silente di fronte a questo fenomeno di massa. E su questo sono d’accordo. Non mi ritrovo, invece, su alcuni passaggi della missiva che probabilmente finiscono col toccare corde più sensibili che non questi semplici strappi «borderline» che segnano il confine tra l’essere condiscendenti e l’essere inflessibili. Lo hanno messo ben in evidenza gli stessi ragazzi nella loro risposta. Personalmente non condivido un passaggio che per correttezza riporto integralmente al fine di alimentare una comune riflessione. Rivolto ai genitori, infatti, così il preside, tra l’altro, scrive: «Avete scelto per i vostri figli questo Liceo anche per il suo rigore nel pretendere comportamenti adeguati a dei giovani che rappresenteranno la classe dirigente di domani, gli interpreti della società civile, i protagonisti delle professioni intellettuali, delle arti, della cultura». Altrettanto meritevole di riflessione è la risposta degli studenti che a tal proposito così rispondono: «Dalle sue parole si nota come la sua idea di scuola sia esclusiva, elitaria, discriminatoria e classista. Chiunque deve avere le stesse opportunità nel raggiungere i massimi gradi dirigenziali, indipendentemente che si frequenti un liceo o un professionale (la invitiamo perciò a leggere l’articolo 34 della Costituzione italiana). L’etnocentrismo che lei vuole imporre, tracciando una linea di separazione tra la scuola che crea dirigenti e la scuola che crea operai, è sconcertante e stridente con i principi educativi che le nostre scuole dovrebbero insegnare». Grandiosi questi ragazzi! E in effetti il concetto «esclusivo» del mio collega risale ai tempi di gentiliana memoria quando ad affermarsi era il dualismo scolastico. Da una parte il percorso liceale riservato alla futura classe dirigente, dall’altra la scuola delle professioni riservata a chi doveva occuparsi d’altro. Eppure nel frattempo, caro mio collega, ne è passata di acqua sotto i ponti. Se poi come espressione di classe dirigente del nostro bel Paese dobbiamo rifarci a certi nostri politici attirati più dal senso degli affari, più dalle rendite di posizione acquisite con privilegi che non dal raggiungimento di obiettivi di interesse generale, beh allora devo ammettere che questi ragazzi non fanno fatica ad aver ragione. Altro su cui sento di condividere con il mio carissimo collega è il concetto di «rigore nello studio». La scuola di massa, l’università aperta a tutti hanno cambiato la storia del nostro Paese. Ora, però, bisogna insistere a cambiare mentalità se non vogliamo correre il rischio di vivere un pericoloso livellamento verso il basso. Non penso nè alle Ancient Eight americane nè ai prestigiosi College inglesi, il mio pensiero va solo a restituire serietà, più che severità, al percorso di studi. Certo la serietà nello studio non si insegue a suon di gadget come fanno certe nostre Università (quella di Bari presta biciclette alle matricole mentre quella di Teramo distribuisce tablet con traffico internet prepagato). Del resto a che vale sfornare diplomati e laureati se i primi non sanno scrivere e i secondi non sono in grado di competere? A che vale sfornare laureati se, come ebbe a dire Steve Jobs, «i bravi copiano e i geni rubano»? Bisogna insegnare a questi ragazzi ad amare seriamente quello che si fa. Oggi lo studio, domani la professione. Notaio o idraulico poco importa. Ciò che deve stare a cuore è l’amore per la scelta fatta prima e per l’idea di servizio che si ha dopo.
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