La tensione sta salendo nella penisola coreana, e la preoccupazione in molte capitali mondiali, a cominciare da Washington, non è mai stata così evidente dai tempi del conflitto conclusosi nel 1953. La situazione merita di essere presa sul serio, non perché si debba ritenere che Kim Jong-un voglia veramente attaccare la Corea del Sud, il Giappone o gli Stati Uniti, ma perché nonostante le sue minacce siano un bluff, una guerra potrebbe scoppiare comunque, e se scoppiasse coinvolgerebbe potenze dotate di armi nucleari.I motivi che stanno spingendo il giovane leader ad alzare la tensione oltre i limiti del buon senso sono essenzialmente due, uno di carattere più strategico-internazionale e l’altro legato prettamente a dinamiche interne al regime.La prima ragione è da collegare alle disperate condizioni economiche della Corea del Nord. Il sistema industriale è ormai in crisi da anni, la produzione alimentare insufficiente e le sanzioni applicate dalla comunità internazionale proprio a causa della politica nucleare di Pyongyang fanno sentire il loro peso. Il paese è praticamente isolato dal mondo ad esclusione degli scambi con la Cina, è incapace di bastare a se stesso e dipende dagli aiuti internazionali. Di fronte a questa situazione, Kim utilizza le minacce di guerra per cercare di portare la comunità internazionale, a partire dagli Stati Uniti, al tavolo negoziale e di farlo da una posizione di forza, per poi ottenere aiuti e allentamento delle sanzioni in cambio di una distensione sul piano della sicurezza. La seconda ragione di questa improvvisa assertività è invece legata alla necessità del giovane erede di Kim Jong-il di affermare la propria supremazia sull’establishment militare nordcoreano, dimostrando di essere in grado di tenere una linea dura, senza cedimenti di fronte ai nemici della nazione e di saper guidare con determinazione e risolutezza l’apparato militare, che in assenza di una leadership salda potrebbe pensare ad un ricambio al vertice. Entrambe le linee di condotta non sono nuove, ed anzi riaffiorano ciclicamente nella politica estera di Pyongyang, ma stavolta i toni sembrano ancora più accesi che in precedenza e la situazione potrebbe diventare pericolosa perché il terzo esponente della dinastia Kim sta rischiando di infilarsi in un vicolo cieco. Infatti, da un lato gli Stati Uniti non hanno nessuna intenzione di rischiare una guerra in Corea, soprattutto se si profilasse un intervento della Cina a fianco di Pyongyang. La Cina dal canto suo ha ancora meno interessi degli Stati Uniti a combattere una simile guerra in questo momento, e dunque i due attori principali stanno cercando di raffreddare la situazione. Tuttavia, Washington potrebbe non voler cedere facilmente all’arrogante bluff nordcoreano e a quel punto Kim si troverebbe ad avere dei forti incentivi verso un ulteriore livello di escalation, che però lo condurrebbe probabilmente in un vicolo cieco da cui sarebbe difficile uscire senza perdere la faccia, nel caso in cui Washington non si convincesse della necessità di trattare. È a questo punto che i problemi per la sicurezza internazionale potrebbero divenire seri. In teoria, da un punto di vista strettamente razionale, la logica della deterrenza dovrebbe condurre alla stabilità della situazione, poiché nessuno degli attori ha interessi a combattere una guerra nucleare. Soprattutto, una tale guerra sarebbe totalmente insensata per la Corea, dato che costituirebbe il conflitto perfetto per la configurazione delle forze armate statunitensi, capaci di colpire con un potenziale distruttivo senza paragoni, da grande distanza e con elevata precisione. Nessun attore razionale, neppure quello che sembra più irrazionale, inizierebbe un conflitto che porterebbe al proprio annientamento, se non altro perché avrebbe intorno qualche elemento razionale dell’establishment che, tenendo alla propria vita, lo fermerebbe. I rischi però nascono dal fatto che anche gli attori più razionali possono commettere degli errori. In situazioni di alta tensione, con i sistemi di allerta ai massimi livelli, un errore di interpretazione, una percezione distorta, un incidente di confine, l’azione improvvisa di una scheggia impazzita possono divenire episodi pericolosissimi, anche se in una situazione di normale distensione gli stessi episodi avrebbero un peso contenuto, non in grado di cambiare l’equilibrio generale. Dunque, anche se nessuno ai vertici degli stati coinvolti vuole veramente una guerra, essa potrebbe scoppiare. L’esito sarebbe certo, ma terribile. In questi casi si riscopre l’importanza della più classica diplomazia, che spesso pare scomparsa.
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