Nessuno deve illudersi: come da anni succede nel mondo del nostro pallone, alla base di tutto ci sono i soldi. Ma per stabilire i criteri con cui distribuirne una bella fetta (200 milioni di euro l’anno in diritti tv) entrano in gioco i bacini d’utenza, materia da maneggiare con molta cura, che si presta a interpretazioni molto diverse tra loro e che ha fatto precipitare la situazione in Lega. Dopo anni sotto il tallone delle grandi, ora le piccole (ma è meglio dire le medio-piccole) rialzano la testa: 15 club su 20 di serie A hanno infatti raggiunto un patto per scegliere tre precise agenzie delle dodici che hanno presentato proposte per effettuare le indagini sui bacini. Scelta cruciale: se si opta infatti per alcuni criteri rispetto ad altri per individuare i bacini d’utenza di ciascuna società, possono “ballare” anche decine di milioni, che per un piccolo club significano sopravvivenza o fallimento. Da un lato, c’è chi fattura introiti stellari (le fantastiche 5 sono Juve, Inter, Milan, Roma e Napoli) e non vuole perdere la competizione (anche economica) con i grandi club europei; dall’altro lato, ci sono tutte le altre, che annaspano tra ingaggi dei giocatori e spese sempre più alte, tentando di restare a galla. Due mondi che non si incontrano quasi mai, salvo quando ci sono le partite in campo, con interessi contrapposti e che ora rischiano davvero una frattura insanabile, al punto che il presidente del Parma, Tommaso Ghirardi, ha invitato le “magnifiche 5” a giocarsi un campionato a livello europeo, “mentre noi 15 faremo il torneo dei poveracci”, ha concluso ironicamente.
D’altronde le guerre intestine alla Lega per spartirsi la torta degli introiti tv (massima voce a livello di entrate in Italia a differenza di Spagna e Inghilterra, dove merchandising, biglietti e stadio di proprietà hanno una rilevanza maggiore) sono da almeno 20 anni al centro delle dispute del nostro calcio. Già negli anni Ottanta ci si scannava per i diritti Rai e del Totocalcio, ma la crisi più clamorosa avvenne nel 2004 quando Diego Della Valle si mette di traverso alla conferma alla presidenza di Adriano Galliani. Fra riunioni carbonare e proclami assortiti, il patron di Tods e Fiorentina perde la battaglia, ma spinge a inizio 2005 dieci club (dall’Udinese al Palermo fino naturalmente ai viola) a riunirsi in un consorzio per la vendita dei diritti tv. Dieci mesi dopo è Maurizio Zamparini ad annunciare la divisione fra le due categorie, che però viene fermata dall’avvento del ciclone Calciopoli.
Una prima avvisagli di grandi contro piccole si registra invece già nel luglio 2007, quando Inter, Milan, Roma, Napoli e Juventus (le stesse “big five” di ora) si oppongono al voto a maggioranza semplice per decidere come dividere le risorse. Due mesi più tardi i piccoli club si ribellano ed eleggono simbolicamente proprio il presidente del Parma Ghirardi (nel calcio appena da sei mesi) in Consiglio di Lega, esautorando di fatto il numero uno della Juventus Cobolli Gigli. Da quel momento si scava un solco profondo: grandi e piccole cominciano a incontrarsi separatamente in sedi diverse, e solo un gesto di buona volontà, ispirato dalle doti diplomatiche di Antonio Matarrese permette di raggiungere nel 2008 l’accordo per la vendita collettiva dei diritti tv. Ma è una pace armata, che non poteva durare. E non è durata.
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