In un momento di forti mutamenti sociali ed economici occorre non perdere di vista quali siano i valori fondanti che vogliamo tutelare. Nell’urgenza del risanamento e nella rincorsa di obiettivi contabili il rischio è quello di concentrarsi sul “quanto ci serve” senza ricordarsi “cosa ci serve”.La famiglia è uno degli elementi che rischia di essere dimenticato e sacrificato, senza considerare che questa rappresenta un indispensabile elemento di coesione, solidarietà e sviluppo. È d’attualità la discussione circa l’utilità di incoraggiare le aperture domenicali degli esercizi commerciali con particolare attenzione ai supermercati e ai luoghi di consumo di grandi dimensioni. Nelle edizioni di questo giornale degli scorsi giorni, come anche sul sito de “Il Cittadino”, si sono visti susseguire sull’argomento interventi e commenti di diverso indirizzo e di differenti sensibilità. Mi permetto di suggerire come questa scelta non vada nell’indirizzo né della famiglia, né della società né tantomeno sia di particolare interesse economico. Sarebbe troppo facile giustificare questa posizione facendo riferimento al costrutto valoriale del cattolicesimo: non voglio cadere in questa tentazione per favorire un confronto nella razionalità e nella laicità con tutta la cittadinanza, nella convinzione che un semplice esercizio di buon senso basti a sorreggerne la tesi.Innanzitutto le aperture domenicali creano indubbi problemi relazionali all’interno delle famiglie. Le attività commerciali aperte esigono lavoratori in servizio. Molte volte questi sono costretti a sacrificare il proprio rapporto con figli e coniuge per poter coprire il proprio turno. Questo sacrificio appare inutile in quanto quasi la totalità di ciò che potremmo acquistare la domenica non ha ostacolo ad essere acquistato in altri giorni. Estremizzando il ragionamento potremmo immaginare famiglie in cui i genitori sono presenti a “targhe alterne” e la famiglia non è vissuta in profondità ma diventa una “relazione intermittente”. Gli studi sui beni relazionali, considerati la chiave della felicità personale nelle società sviluppate, ci dicono che questi beni non si usurano, al contrario aumentano la loro efficacia più sono vissuti: è così per l’amicizia, per l’amore ed anche per la famiglia.In seconda istanza le aperture domenicali pongono un problema di carattere culturale. Con la crisi che abbiamo di fronte siamo ancora convinti di sponsorizzare una società consumista? La crisi andrebbe risolta con la misura della sobrietà e non con quella dello spreco. Gli studi economici sulle aspettative adattive e sui beni di comfort dimostrano infatti che la cultura del consumo genera individui infelici e trascinati nel vortice di una continua incompiutezza: non si ha mai abbastanza, non si consuma mai abbastanza! Forse si potrebbero immaginare domeniche più libere e costruttive in cui trovino posto la cultura, lo sport, la parrocchia o il volontariato.In ultima analisi, quando anche pensassimo che la famiglia sia un’agenzia inutile, che vada bene la cultura consumista e che l’importante sia solo generare flussi commerciali, possiamo capire che le aperture domenicali non risolverebbero nulla nemmeno in questa prospettiva. Se il mio barbiere aprisse la domenica, i capelli mi crescerebbero più velocemente e dovrei andarci più spesso? Se il mio macellaio aprisse la domenica, nella settimana consumerei più bistecche? Credo di no! Dal lato occupazionale, che oggi è il vero problema della nostra economia, le aperture domenicali non sarebbero una risposta perché i piccoli commercianti si arrangerebbero in proprio e i grandi centri commerciali risolverebbero in larga parte con una semplice redistribuzione dei turni.In un commento sul sito di questo giornale un lettore ha scritto che alla fine “sarà il mercato a decidere”; il mercato però siamo tutti noi e non si cancellano le nostre responsabilità di amministratori, imprenditori e consumatori: dobbiamo essere noi a decidere!Questa vicenda è solo una delle tante, basti pensare alla fiscalità o alla regole del mercato del lavoro, che stanno mettendo in gioco il rapporto tra famiglia e società; un rapporto da valorizzare e valutare nella prospettiva di un reciproco riconoscimento di ruoli e responsabilità.
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