Il salvadanaio delle pensioni d’oro

Le dichiarazioni dei governanti, alternativamente smentite, confermate, stravolte, riesumate, le legittime, pur tardive, proteste dei Sindacati, le aspre critiche delle Associazioni di Categoria, le esternazioni delle varie anime dei partiti, quella lealista, quella scissionista, quella inguaribilmente partigiana, i contraddittori commenti dei media scritti e vocianti, i minacciosi ammonimenti d’oltralpe, convergono su di un unico risultato: la crescente confusione e la pressante preoccupazione nella testa dei cittadini. C’è un solo dato certo in questo disordinato, spasmodico annaspare: l’ineludibile bisogno di reperire risorse economiche. L’azzeramento di entrate, preventivate e cancellate, la quanto mai problematica riduzione del debito pubblico, l’impellenza di trovare soldi per finanziare la cassa integrazione, la necessità di creare opportunità di crescita onde far ripartire i consumi, l’obbligo di sanare antichi contenziosi con le imprese, si inseguono vorticosamente in un inconsulto carosello di idee, alcune davvero farneticanti, cui nemmeno il formulante crede. C’è chi propone di cedere le spiagge ai privati, c’è chi vuol vendere i cessi pubblici e c’è chi vuol rilanciare l’economia, incrementando la diffusione delle slot machines e dei videopoker, cui la povera gente si affida o per vizio congenito o nel vano auspicio di risolvere con un improbabile “backstroke” (mi si passi il termine amaramente sarcastico) il proprio dramma quotidiano. Ora, per l’ennesima volta, riappare il “contributo di solidarietà” da estrarre dalle cosiddette “pensioni d’oro”, salvo definirlo, onde poterlo pretestuosamente e ancora una volta accantonare, gettito esiguo, di marginale significato.Ma è veramente così? Un recente studio, proveniente da fonte seria ed affidabile, afferma che i pensionati con un assegno mensile superiore a quattromila euro, sono l’ 1,4% della popolazione nazionale. Con l’utilizzo di una calcolatrice tascabile, è facilissimo dedurre che la cifra, spesa dallo Stato, per pagarlo sfiora i quarantacinque miliardi annui in valuta europea. La ricerca non fornisce elementi validi per stimare quanti di questi fortunati hanno meritoriamente acquisito tale privilegio, ma al di là di una tale, nemmeno tanto sofisticata indagine, è certo che, tra il rimanente 98,6% degli italiani, c’è un nutritissimo esercito di individui che arranca con poche centinaia di euro al mese e, sotto l’assillo del bisogno si mette in coda alla mensa della Charitas e ruba qualche scatoletta di tonno al supermercato, provandone rimorso e vergogna.Circolano voci imprecise sull’entità del ventilato prelievo: c’è chi timidamente azzarda un 5% , c’è chi si avventura verso un apice del 15%, ma solo per i percettori che varcano i novantamila euro all’anno. Niente di deciso, comunque, e non è escluso il consueto parto del fatidico “topolino”asfittico o premoriente. E’ ben comprensibile, oltre che lecito, supporre, che tra coloro che sudano le classiche “sette camicie” (sempre le stesse, ormai con polsi e colletti lisi) per raggiungere la terza decade, si faccia strada l’ipotesi che un taglio del 50%, sia pure sapientemente progressivo, non metterebbe certo sul lastrico i titolari di quei generosi vitalizi. Oltre venti miliardi così reperiti sono cinque volte in più dei quattro necessari per compensare l’azzeramento dell’ IMU e potrebbero, se oculatamente usati, risolvere una gran parte dei problemi nazionali, senza ridurre in miseria le “vittime” del prelievo. Se ci fosse la volontà e la determinazione di procedere su tale sentiero, non avrebbe gran significato centellinare i punti percentuali. Se lo si deve fare lo si faccia con tutti i risolutivi sacramenti. Un politico, recentemente uscito di scena, di cui oggettivamente non si avverte la mancanza, proponeva referendum popolari ad ogni piè sospinto. Potrebbe risorgere dalle sue ceneri e raccogliere le firme per una proposta di legge che andasse nella direzione appena prospettata: sarebbe un plebiscito!

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