Quattro o cinque anni di liceo? La questione è rimbalzata sotto i riflettori dei media dopo l’autorizzazione, da parte del ministro Carrozza, ad alcune sperimentazioni in corso in scuole non statali paritarie, che peraltro si stanno attrezzando da qualche anno al nuovo modello. La sperimentazione è stata autorizzata per il collegio San Carlo di Milano, il Guido Carli di Brescia e l’istituto Olga Fiorini di Busto Arsizio. A progetti del genere c’erano già stati assensi parziali dei ministri che hanno preceduto Carrozza, come Gelmini e Profumo. Ora c’è il sì ufficiale del ministero e anche parole impegnative del titolare di viale Trastevere, che, a Brescia, visitando proprio il Carli, ha detto: “Se ci fosse stata quando ero studentessa, anch’io mi sarei iscritta a una scuola come la vostra. Si tratta di un’esperienza che dovrebbe diventare un modello da replicare in tutta Italia, anche per la scuola pubblica”. Insomma, accorciare il tempo di studio, per arrivare al mondo del lavoro o dell’università un anno prima, è una prospettiva che “piace”.Qualche riflessione però va fatta. A cominciare dal perché, cioè da quali necessità può muovere una ridefinizione del sistema d’istruzione.Non sono riflessioni nuove. Da anni c’è chi sottolinea che in Europa già molti Paesi hanno percorsi scolastici più brevi e che i giovani italiani sarebbero penalizzati dal “ritardo”, che si ripercuote poi naturalmente sull’uscita dall’università e, in ultima analisi, va a misurarsi con l’entrata nel mondo del lavoro. E qui sta il punto: davvero bisogna entrare prima nel mondo del lavoro? Un mondo, tra l’altro, che oggi offre ben poche garanzie?Sono temi che meriterebbero ben maggiore spazio di quello disponibile qui, però viene in mente la provocazione emersa al termine della ricerca delle Chiese cattoliche d’Europa sull’insegnamento della religione, conclusasi qualche anno fa. Nel prologo al documento finale, parlando di scuola, i delegati dal Portogallo alla Russia, dalla Grecia al Regno Unito (coinvolti tutti i Paesi del Continente), mettevano in guardia da un sistema d’istruzione in Europa “sempre più pesantemente e durevolmente caratterizzato da interessi e criteri di tipo economico”. Iniziative d’istruzione finalizzate in particolare “a sviluppare forze lavorative qualificate da poter impiegare in maniera flessibile all’interno dello spazio economico europeo”. Una concezione strumentale cui preferire, invece, “un concetto d’istruzione, che antepone l’integrità del soggetto prima di qualsiasi riflessione sull’utilità”. Vale la pena di riflettere. Così come vale la pena di farlo sui “tagli” al percorso scolastico. Sulla base di cosa togliere un anno? E a che punto? Basta accorciare un liceo per arrivare prima alla maturità? Viene in mente, a questo proposito la riflessione ampia avviata diversi anni fa dal ministro Luigi Berlinguer, che nella prospettiva di un sistema d’istruzione più breve, andava a “tagliare” l’ultimo anno dell’attuale media, iniziando prima il percorso liceale: insomma, non è scontato intervenire sui licei, serve riflettere sui tempi e sulle attenzioni pedagogiche, sui momenti di sviluppo degli allievi per capire dove intervenire. Al centro della preoccupazione non c’è il curriculum, ma l’allievo; non il tempo misurato in anni di studio, ma quello calibrato sui tempi/modi di sviluppo dei nostri ragazzi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA