Stando alla narrazione dell’apostolo Giovanni, era il giorno della Parasceve. Nome esotico, solo per dire che era la vigilia del sabato, del grande giorno di Pasqua. Gerusalemme è distratta, tutti hanno in mente altro. C’è da preparare la cena. Sarebbe iniziata al tramonto del sole, per protrarsi fin nel cuore della notte. Le persone più religiose sarebbero rimaste sveglie attendendo l’alba. Così, in quel giorno di vigilia, tutti sono affaccendati: c’è da ripulire a fondo la casa, eliminare il vecchio impasto di lievito, l’agnello da acquistare e da portare al tempio perché fosse sgozzato, il banchetto della sera che prevedeva un ricco menù di simboli. Così la vicenda di Gesù passa quasi inosservata. Avrebbe conquistato un ritaglio di poche righe sui più importanti annali dell’epoca. I sommi sacerdoti e i capi del popolo ritenevano che il periodo di Pasqua non fosse il momento migliore per mettere le mani su quel rabbì eretico di Galilea. Troppa gente, troppo trambusto: la situazione poteva facilmente scappare di mano. Meglio avere pazienza e attendere il momento opportuno, quando Gerusalemme si sarebbe svuotata da quella calca di pellegrini che ingolfavano i suoi angusti spazi. Lo dovevano isolare: tagliare fuori da un codazzo di seguaci e di miracolati che avrebbe fatto quadrato intorno a lui. Poi il colpo di fortuna, immenso e inaspettato. Senza nemmeno andarlo a cercare, senza nemmeno mettere una taglia sul suo capo, uno dei suoi decide di tradirlo. È Giuda che va a cercare i sommi sacerdoti. In un attimo l’affare si chiude, pattuendo il compenso che sarebbe spettato al disertore. Adesso c’è un basista. Gesù sa di quel tradimento, eppure non cambia le sue abitudini: va ancora a dormire nel posto di sempre. Che strano: eppure il vangelo confida che Gesù si nascondeva, che parlava in pubblico solo quando la cerchia dei suoi sostenitori era talmente folta da fargli da cordone di sicurezza. Ma adesso Gesù non si difende più: sembra deciso a consegnarsi al nemico. Che sia stanco di troppe battaglie? Oppure che cerchi lo scontro finale?Nell’orto del Getsemani c’è un inizio di tafferuglio. La scena descritta dal vangelo di Giovanni ha qualcosa di comico. Il manipolo di guardie arriva in quel giardino posto oltre il torrente Cedron e accerchia il rabbì. Ma non sono quelle teste di cuoio a condurre la partita. Non capita come nei telefilm americani, dove il poliziotto prende in mano il megafono ed intima la resa. Anzi è Gesù che si avvicina alla soldataglia e chiede loro cosa stessero mai cercando. Gesù filosofo non gira molto intorno alle domande. Sono le stesse che aveva rivolto agli inizi del vangelo ai primi discepoli: chi cercate?Quando quel distaccamento di militi viene a sapere d’essere davanti al Nazareno, cade per terra come una fila di birilli. Ma che razza di squadra antisommossa hanno mai messo insieme i sommi sacerdoti? Mandati ad arrestare un profeta disarmato, danno l’impressione di aver paura perfino della loro ombra. A Pietro invece non manca il coraggio e sfodera la spada. Nell’unico combattimento che si registra in quelle ore di passione, ha facilmente la meglio, tanto da mettere k.o. il servo del sommo sacerdote. Poteva essere l’inizio di un colpo di stato che, viste le premesse, aveva buone possibilità di riuscita. Ma Gesù frena tutto. Non intima ai suoi di arrendersi, confessa invece che ha in mente un altro progetto: “Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?”. Da qui in avanti sembra che Gesù remi contro se stesso. Le sbaglia tutte: irrita il sommo sacerdote, non cerca l’appoggio di Pilato, perde la sua partita contro Barabba. I capi del popolo si sfregano le mani: si erano spaventati per niente. Sembrava un osso duro, quel Gesù disceso dalla Galilea, e invece è un pupazzetto da niente. La vigilia di Pasqua concorre alla realizzazione del loro piano. Tutti attendono la festa della sera, tutti sono occupati per gli ultimi acquisti, un po’ come facciamo noi la vigilia di Natale. Così, sulla cima del monte Golgota, si raduna pochissima gente. Solo un nugolo di oppositori, pronto a fare scempio di tre cadaveri. Gesù ha solo qualche sguardo amico, e la sua è una morte in perfetta solitudine. Anche la frase di commiato suona strana – “Tutto è compiuto” – come se invece di perdere la sua partita, l’avesse inspiegabilmente portata a termine. Pochi ci fanno caso, ma sulla collina che sta dirimpetto al luogo della crocifissione, quel cucuzzolo su cui era stato edificato il tempio di Gerusalemme, è appena cominciata la grande mattanza degli agnelli di Pasqua. A migliaia se ne uccidono in quelle ore, e i loro belati riempiono di un dolore sinistro la città che si accinge a far festa. Stridono quei vagiti di agnello, come stride la morte di croce di un giusto. È il prezzo salato che si paga ogni anno per ricordare quanto sia costata la nostra liberazione.
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