Speravamo di aver archiviato, con un sospiro di sollievo, la provocazione – ma è il termine giusto? – del pastore Terry Jones, che negli Stati Uniti aveva dato il via a una vera e propria campagna per bruciare il Corano nell’anniversario dell’11 settembre. A suo tempo si erano sollevate critiche da ogni dove e lo stesso presidente Obama si era mosso. Si discusse a lungo se si poteva o no impedire un gesto simile, che lasciava immaginare brutte conseguenze, poi il pastore aveva soprasseduto. Fino a qualche giorno fa, quando il pastore Jones e un suo degno compare, il pastore Sapp, hanno dato sfogo all’idea coltivata da tempo bruciando una copia del Corano in Florida. Dopo pochi giorni, le prime manifestazioni in Afghanistan, con morti e decine di feriti. La “vendetta” per il rogo del libro sacro era stata annunciata e l’intelligence occidentale in Afghanistan era in allarme. Il mullah di Mazar-I-Sharif – la località del nord dove è stata presa d’assalto una sede Onu – aveva chiesto ai fedeli, durante la preghiera del venerdì, di non lasciar correre l’offesa al testo sacro dell’Islam. È bastato davvero poco perché si cominciasse a sparare.
Naturalmente quello che è successo in Afghanistan ha motivazioni complesse, che vanno anche ben al di là delle questioni e delle offese religiose, in un Paese che sperimenta da anni una difficilissima transizione. Tuttavia non è fuori luogo puntare l’attenzione su quanto avvenuto in Florida. Non a caso, come riportava ad esempio il “Corriere della Sera”, il responsabile della comunità cattolica internazionale in Afghanistan, padre Giuseppe Moretti, ha definito il processo con rogo al Corano “a dir poco folle”. Aggiungendo: “Sono a Kabul da 10 anni e ho visto la reazione per le vignette satiriche su Maometto, per il modo in cui è stato riportato il discorso papale di Regensburg, c’era da aspettarsi una reazione scomposta”. Il timore è che le violenze si ripetano.
E al di là dei timori per le violenze, vale la pena di ripetere una volta di più che i gesti di mancato rispetto per le religioni e i loro fedeli – mettiamoci naturalmente e in primo piano anche il cristianesimo e i cristiani, offesi e perseguitati in tanti luoghi del mondo – sono potenzialmente distruttivi. Per i credenti la propria religione, con i suoi simboli, è ciò che conta di più, tocca i valori profondi e il senso dell’esistenza. Gesti di sfida, di ostilità, di disprezzo diventano potenzialmente devastanti, distruttori di umanità.
Pace è il nome di Dio, insegnava Giovanni Paolo II, anche con il grande esempio dell’incontro e della preghiera condivisa dei rappresentanti di religioni diverse. Con lo “spirito di Assisi”, come è stato chiamato. E non è un caso che Benedetto XVI sia pronto a tornare ad Assisi, per un incontro con i leader religiosi capace di rinnovare slanci e pensieri positivi. Ce n’è bisogno.
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