Gli studenti tra la piazza e i saperi

«Vogliamo essere la promessa di un domani migliore. Vogliamo discutere di cosa si studia, come lo si insegna. Vogliamo questo perchè i saperi non restino vuote nozioni». Sono dichiarazioni forti che assumono un intenso significato culturale oggi ancora di più se solo guardiamo al presente con occhio critico e distaccato. Questi ragazzi non vogliono andare alla ricerca del vuoto, ma vogliono impegnarsi in un pragmatico approccio al confronto, specie se questo lo si cerca nei modi e nei metodi che una vera democrazia partecipativa consente. Forse che il movimento studentesco cambia pelle? Forse che la voglia del sapere supera la voglia della piazza? Può darsi. Eravamo abituati a sentire slogan proferiti dagli studenti con sfida e tracotanza, a vederli affrontare poliziotti con rabbia e violenza, ora vogliono cambiare metodo o almeno così sembrano intenzionati a fare quelli della «Rete della Conoscenza». Stiamo parlando di un movimento studentesco che vuole portare in piazza, con una mobilitazione senza precedenti, studenti, docenti, giornalisti, intellettuali, movimenti e associazioni. Un programma ambizioso, ma credibile. Niente slogan, niente scontri con la polizia, niente giornate vuote, ma idee, contributi, contenuti su cui alimentare un confronto costruttivo per lanciare un salvagente a una scuola in agonia. Nasce un nuovo modo di porsi di fronte a degli interlocutori, una nuova mentalità culturale mediante la quale i giovani hanno voglia di dimostrare di saper andare oltre ogni rottura, oltre ogni scontro sociale per offrire un’immagine positiva del movimento studentesco. Vogliono trascinare gli adulti su un terreno a loro più congeniale: contenuti e idee da porre sul tavolo. Non è una provocazione, ma una evoluzione che tende a mettere al centro del dibattito la libertà dei saperi «come strumento per uscire dalla crisi». È una posizione che merita la massima attenzione perché poggia su basi solide e che forse coglie impreparati gli stessi adulti. Questi ragazzi vanno alla ricerca di interlocutori che sappiano dare un significato alla loro presenza in questa nostra realtà. Non tendono la mano, ma fanno di più. Non cercano comprensione, ma vogliono capire, vogliono entrare a far parte del dibattito e c’è da giurare che sapranno tener testa ai più complessi contenuti. È un’occasione da non lasciar perdere. Li abbiamo più volte accusati di non essere in grado di andare oltre le proteste; li abbiamo descritti e fotografati come esseri violenti e privi di proposte; li abbiamo messi a confronto con gli studenti degli altri paesi dell’Unione Europea per poi dire loro che hanno dei vuoti culturali tali da vederli relegati quasi sempre agli ultimi posti. Oggi dobbiamo cogliere a volo questa opportunità e restituire al confronto il giusto spazio e il giusto valore culturale che merita. Non dobbiamo temere le prossime date annunciate come nuove occasioni di piazza. Se la volontà espressa dai movimenti studenteschi è quella di mettere al centro del dibattito il tema sulla libertà dei saperi visto però «come strumento per uscire dalla crisi, per invertire la rotta di un Paese che sembra aver esaurito risorse e speranza», allora vuol dire che siamo di fronte a una svolta storica che non va persa e che al contrario va valorizzata. Questi studenti ci stanno dicendo qualcosa di nuovo e della massima importanza. Dobbiamo stare attenti a non snobbarli, a non cercare l’alternativa al dialogo che chiedono perché questo vorrebbe dire concedere il fianco allo scontro violento e senza senso. È l’ora di dare credito alla loro proposta vieppiù poiché al loro fianco vanno a schierarsi intellettuali, movimenti, associazioni culturali. E’ un clima nuovo che non va sminuito nella sua stessa valenza. Un comportamento che forse spiazza chi vuole restare ancorato allo scontro come ultima soluzione, ma che non sfugge a chi vede in questi ragazzi un’inversione culturale e sociale offerta nel più alto interesse generale. Non va dimenticato che stiamo attraversando un periodo di crisi in cui tanti valori vengono irrisi proprio da chi dovrebbe, al contrario, trasmetterli come assoluti e questo fa sì che la speranza di immaginare una società priva di contraddizioni si fa sempre più flebile. Siamo di fronte a un tipo di società dove una certa generazione non fa fatica ad affidarsi a discutibili stili di vita in cui il dato relativo emerge più di ogni altro dato razionale. Eppure bisogna dar credito a questo nuovo movimento che chiama a raccolta il meglio del pensiero culturale o almeno i più volenterosi o i più sensibili alla svolta. Sarebbe sbagliato fermarsi al passato e rispondere a un errore con un altro errore. Nasce il «Manifesto per la liberazione dei saperi» come alternativo alla piazza, tanto basta per inventarsi un rinnovato metodo di confronto che può rafforzarsi e germogliare sul dialogo. Se poi attorno al tavolo si riuniscono espressioni culturali, tanto meglio perché questo vuol dire che questi ragazzi sono riusciti a fare ciò che non sono stati capaci di fare gli adulti presi, come sono, più dalla voglia dell’affare che dall’idea del fare. Questa volta gli studenti cercano anche la mediazione politica e vien da dire, nonostante tutto, nonostante i brutti recenti esempi. A questo punto, a quanto pare, l’unico problema siamo noi, poco inclini all’ascolto, portati più a redarguire che a encomiare, più a rimproverare che a elogiare. E invece dobbiamo cambiare registro e portarci su un più solido piano dell’ascolto, dell’attenzione al merito. Questa volta è scaturita un’idea che impegna e molto le diverse energie presenti nel mondo della scuola e della cultura. Non dobbiamo ragionare per aspettative e nemmeno per illusioni. Va da sé che nessuno può aspettarsi che la posta venga servita su di un piatto d’argento. I giovani sono lontani da queste finezze. Tuttavia sono proprio loro che ci hanno più volte insegnato quanto sia illusorio sperare in compromessi che non abbiano un valido fondamento culturale. Almeno in questo, certi studenti, parlo di quelli che scelgono seriamente di confrontarsi, sono dei maestri. Intanto la stampa dà notizia di studenti incappucciati che irrompono in due licei romani e con fumogeni, bastoni, striscioni e volantini interrompono le lezioni. Ma questi vanno considerati fuori dal coro.

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