La questione degli alunni stranieri nelle scuole italiane è arrivata subito sotto i riflettori in questo inizio di anno scolastico. I media hanno dato risalto a due casi: a Costa Volpino, nel Bergamasco, una prima elementare è stata cancellata perché aveva solo iscritti di origine straniera; a Landiona, in provincia di Novara, dodici famiglie hanno ritirato i figli dalla scuola elementare, per la presenza di “troppi zingari”. “Nessuno ha ricordato, oltretutto, che almeno la metà dei ragazzi stranieri di Costa Volpino sono nati in Italia, e che gli alunni di Landiona sono sinti, come tali quasi tutti italiani”, suggerisce in proposito Vinicio Ongini del Miur, Ufficio integrazione alunni stranieri.La questione, al di là dei casi di cronaca (che bisognerebbe esaminare “da vicino”), ha radici nel fenomeno migratorio che interessa ormai da anni il nostro Paese e nella importante presenza nelle scuole italiane di alunni stranieri, i quali peraltro, per l’anno scolastico appena cominciato, sarebbero, secondo una stima, circa 830mila (e il ministro Carrozza, ha recentemente ricordato che “circa il 50% è nato in Italia e parla italiano”), cioè lo 0,4% in più dello scorso anno. In termini percentuali gli alunni di origine straniera, in tutti gli ordini di scuole, sono poco più dell’8% del totale: nessuna “invasione”, dunque. Dopo anni di grande crescita, è circa un triennio che il trend è rallentato. È ancora Vinicio Ongini, su “L’Espresso blog”, a fare riflettere: “Nessuno fa titoli sul fatto che nelle scuole dell’infanzia l’86% degli alunni stranieri è nato qui da noi. Sono bimbi italiani di fatto, se non ancora di diritto. E fra tutti gli studenti stranieri di ogni grado di scuola, ormai la metà sono nati in Italia”. Esiste poi anche una normativa apposita che prevede un tetto del 30% degli alunni con cittadinanza non italiana sul totale degli iscritti in ciascuna classe. “Tetto” che il ministro Carrozza ha precisato essere indicativo e che prevede una serie di eccezioni, ad esempio legate alla verifica di specifiche competenze linguistiche. Il significato della norma va cercato, infatti, non tanto nella “questione stranieri”, ma nella necessità di evitare situazioni didattiche precarie.Un’altra notizia molto interessante sulla “questione stranieri”, viene da recentissimi dati Invalsi, secondo i quali alla fine del primo ciclo d’istruzione la distanza tra gli alunni italiani e la seconda generazione d’immigrati risulta solo di alcuni punti in italiano e nulla in matematica. Insomma, la scuola “funziona” nel diminuire le distanze.Ecco, qui sta il nodo: diminuire le distanze, promuovere integrazione e interazione. La scuola è un laboratorio sociale fondamentale, dove l’incontro tra le componenti diverse della società può diventare estremamente fruttuoso, per ridisegnare relazioni e orizzonti. In questo senso, pur senza sottovalutare le sfide didattiche anche complesse che si pongono agli istituti e ai docenti in primis, ha ragione il ministro a parlare, per la presenza di alunni stranieri e della sfida dell’integrazione, anzitutto come di una “opportunità”.
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