Non fa certo piacere vedere quelle “maledette” immagini rese ancor più amare dal fatto che sono state girate in una classe di un istituto superiore durante una lezione. È un breve filmato finito, chissà come, su YouTube e guarda caso alquanto cliccato, commentato e corredato di proposte, la maggior parte delle quali di carattere punitivo. Vedere l’insegnante in cattedra, ripresa di nascosto con uno smartphone durante una normale lezione (se di normalità si può parlare in questi casi) mentre invano cerca di riportare l’ordine in classe, pesantemente insultata, offesa e umiliata come persona prima ancora che come insegnante e ancora ridicolizzata e apostrofata con aggettivi coperti da continui bip, scatena una tale tristezza d’animo da non lasciare spazionemmeno alla riflessione. Emerge il branco assetato di voglia di imporre il proprio comandamento fatto di violenze verbali, che vive la coralità come un’occasione per nascondere la singola iniziativa, pronto a dettare le condizioni, a imporre la regola che in questi casi sembra l’unica accolta favorevolmente da tutti: la regola del caos. Umiliare, denigrare, insultare, ricorrere a grida minacciose viepiù proferite nascondendosi nel gruppo, sembra essere questa la strategia scelta e preferita dal «branco». Identificare gli autori dell’insulso comportamento è opera improba se non addirittura impossibile. Torna qui utile citare le parole pronunciate da Socrate nel giorno del suo processo allorché rivolto ai giudici che lo condanneranno disse: «contro la folla anonima è difficile battersi, perché non si può combattere contro delle ombre». È proprio vero che la massa nasconde il singolo, come l’anonimato nasconde il pavido. Dal filmato si nota chiaramente come l’insegnante sia in evidente difficoltà educativa, indebolita per questo dalla spavalderia dei singoli che hanno perso il senso del limite indicato dal rispetto per gli adulti in genere e di un insegnante a scuola. Questo è un vizio che oggi più di ieri accompagna i ragazzi nella vita quotidiana. Il filmato in questione non riprende i volti dei ragazzi autori dei conati strombazzati privi di moralità dialogica, riproduce però, chiaramente quanto di più balordo possa uscire dalle bocche. Bocche furfanti a cui evidentemente mancano chiari esempi educativi. È bene alzare la voce contro questi ragazzi descritti come vili, anche se talvolta sono erroneamente difesi dai genitori pronti a scendere in campo al loro fianco, ignorando il rischio che un domani questa terribile e insensata difesa potrà ritorcersi contro. E allora il dolore sarà più grande per aver capito dopo quel che si poteva e si doveva fare prima: educarli al rispetto della persona. Capita spesso che pur di evitare una punizione il singolo venga difeso dalla massa e allora si dice che sono tutti responsabili, in realtà passa il messaggio che nessuno lo è. È questa una condizione tanto cara anche a certi genitori inconsapevoli estimatori della strategia della comprensione, della tolleranza a tutto tondo che, guarda caso, coincide con quella della «non punizione». Vedere un proprio figlio punito per gravi manchevolezze, infatti, è come gettare un’ombra sull’ineffabile capacità di educatori, è come mostrare la propria debolezza e scoprire di avere un figlio fuori controllo e quindi più aggressivo non solo verso i coetanei, ma anche verso gli adulti, verso gli insegnanti e con molta probabilità un domani anche verso gli stessi genitori. Sono loro che a mio avviso vanno messi sul banco degli imputati. Vuoi perché troppo permissivi, vuoi perché troppo stanchi o stressati a tal punto da preferire un atteggiamento accomodante se non addirittura di indifferenza piuttosto che ritagliarsi un ruolo di attenti educatori. Sono genitori vittime di un senso di colpa ovvero di non essere all’altezza del compito educativo a cui per vocazione si è chiamati. L’odierna cultura sociale preferisce ragazzi (pre)potenti, sfrontati, arroganti, pronti ad affrontare gli adulti a viso aperto, privi di empatia sociale, attivi nel proporsi nella relazione alla pari di adulti incalliti al punto da sentirsi chiamati alla sfida, al duro confronto. Cosicché abbiamo giovani che anziché prepararsi alla vita adulta, si propongono essi stessi già come adulti pronti a negoziare ogni tipo di decisione che li riguardi, fino a «usare» i genitori pur di raggiungere un determinato scopo o di perseguire un proprio interesse. Così non va bene! Capita spesso di leggere notizie di genitori condannati dal giudice per inadempienza in quanto a «inosservanza delle leggi sull’obbligo scolastico». Di un certo rilievo il caso di quella madre di Ferrara condannata per «troppo amore e troppa protezione». Condanna eccessiva? Può darsi. Ma qui stiamo parlando di una madre che impediva al figlio di frequentare amicizie fuori dalla scuola per paura di cattive compagnie o addirittura di ricorrere a mille espedienti pur di impedire al figlio di partecipare alle lezioni di educazione fisica per timore che si potesse far male durante gli esercizi in palestra. Di tenore diverso è il caso di quel genitore trascinato in tribunale dal figlio maggiorenne perché privato della paghetta settimanale. La solida agiatezza dei genitori viene dal giudice considerata come una condizione favorevole al mantenimento economico. E che dire del concetto di «maltrattamento emotivo» che vogliono introdurre gli inglesi nella loro legislazione minorile? Pensiamoci bene. Può essere un «maltrattamento emotivo» la decisione di un genitore di negare al proprio figlio l’acquisto di uno smartphone o di un iPad? La casistica è certamente varia, ma un fatto è certo. La debolezza dei genitori è spaventosa. Come sostengono i pediatri se prima lo scambio affettivo procedeva dai genitori ai figli, «oggi sono i genitori sempre più insicuri sul proprio ruolo fino a implorare forme di accettazione e di consenso da parte dei bambini». In Germania, ad esempio, i genitori sono dell’avviso che ogni intervento educativo a favore dei bambini sia inopportuno in quanto indebolisce il carattere a causa del quale crescono impreparati ad affrontare le difficoltà della vita. Intanto il filmato raccoglie solidarietà per l’insegnante, ma anche perplessità che finiscono col mettere sul banco degli imputati la docente prigioniera della sua stessa debolezza.
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