Frontiere vecchie e nuove

Si infittisce l’agenda di politica estera dell’Unione europea. Al rientro dalla pausa agostana, le istituzioni di Bruxelles troveranno – oltre al nodo dello scudo anti spread e alle altre questioni finanziarie – gli innumerevoli problemi su scala globale lasciati a luglio, in qualche caso ulteriormente complicatisi (il primo pensiero va alla Siria), più altri che si sono imposti nelle ultime settimane. Saranno in particolare l’Alto rappresentante per la politica estera Catherine Ashton, il Consiglio affari esteri dei Ventisette, la Commissione e il Parlamento Ue, a dover ricercare e mantenere una posizione comune dell’Europa dinanzi alle sfide politiche ed economiche, alle urgenze umanitarie, ai grandi flussi migratori, alle tensioni e ai conflitti latenti in tante regioni del pianeta. L’Europa è chiamata ad acquisire un ruolo di primo piano per la promozione della pace e della cooperazione tra i popoli e gli Stati, che le compete e che il mondo in qualche modo si attende.In realtà a Bruxelles e Strasburgo già si guarda al 6 novembre elettorale negli Stati Uniti, quando gli americani sceglieranno il prossimo presidente tra l’uscente Obama e lo sfidante Romney. La vittoria dell’uno o dell’altro non è certo indifferente su questa sponda dell’Atlantico, ma nessun leader politico in Europa potrà permettersi di schierarsi come fanno i tifosi di calcio. Il futuro inquilino della Casa bianca è un alleato troppo importante: chi arrischierebbe un sostegno esplicito al candidato democratico piuttosto che a quello repubblicano con il pericolo di sbagliare previsione?Scrutando il mappamondo, appare poi evidente che il caso siriano non è più – forse non lo è mai stato – un tema di ordine interno, bensì costituisce una minaccia per la già precaria situazione mediorientale. La Terra santa, il Libano (che il Papa visiterà a metà settembre), l’Iraq e l’Iran, la Giordania, i Paesi del golfo e quelli dell’Africa del nord sono tuttora attraversati dallo spirito della “primavera araba”, ma le aspirazioni e le promesse cresciute in queste nazioni devono ancora essere mantenute, mentre le dittature come quella di Assad o i diffusi regimi autoritari dell’area non sembrano andare incontro alle speranze invocate dai popoli. In queste stesse regioni, così come avviene in Nigeria o in Pakistan, i temi politici si incrociano con l’invocato sviluppo socioeconomico e con l’affermarsi, o meno, delle libertà individuali e sociali. In vari Paesi, ad esempio, il mancato rispetto della libertà religiosa, che spesso si trasforma in esplicita persecuzione dei cristiani o di altre minoranze, è il sintomo più evidente che democrazia e libertà sono conquiste oggi lontane per centinaia di milioni di esseri umani. La politica internazionale dell’Ue è però pressata anche dalla crescita scomposta di Paesi come la Cina (dove democrazia e libertà rimangono parole bandite), il Brasile o il Sudafrica; dalla “strana democrazia” vigente in Russia o in Ucraina; dall’ultima dittatura europea della Bielorussia (che ha di recente aperto un contenzioso con la Svezia proprio in tema di diritti e libertà); dalle posizioni sempre meno chiare della Turchia, che si allontana progressivamente dall’Europa e ha ripreso a essere una minaccia per Cipro. Ci sono poi i casi di “politica interna” dell’Unione che sono stati monitorati anche nel corso dell’estate a Bruxelles: il braccio di ferro istituzionale in atto in Romania, dopo il referendum del 29 luglio che ha confermato nella carica di presidente Traian Basescu; le posizioni “fuori dagli schemi” che contraddistinguono il governo ungherese; il crescente populismo che segna gli Stati del nord, come la Svezia e la Finlandia; l’insoddisfazione per la situazione economica che spinge all’emigrazione un numero considerevole di polacchi e di cittadini di altri Paesi dell’est; la precaria stabilità economica e politica di Paesi come la Grecia, la Spagna e la stessa Italia. L’intrecciarsi di tutti questi temi segnerà, dalla prossima settimana, l’agenda comunitaria.

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