Occhio all’etichetta, ci sono novità. Sapete che l’Europa, per dire la Commissione europea, ci vuole bene, pensa al nostro benessere e si preoccupa di farci mangiare e bere sempre meglio. Ecco perciò tutta una serie di prescrizioni (sono pubblicate martedì 22 novembre sulla Gazzetta ufficiale della Ue) riguardanti le etichette di cibi e bevande. D’ora in poi saranno più trasparenti, più dettagliate, più leggibili (la Commissione ha fissato finanche l’altezza minima dei caratteri: 1,2 millimetri) e dovranno recare le indicazioni relative a sette parametri: valore energetico, proteine, carboidrati, zuccheri, grassi, acidi grassi saturi, sodio (sale), sulla base di 100 grammi o 100 millilitri di prodotto. Dovranno altresì specificare il Paese d’origine, la natura esatta dei grassi impiegati, la presenza di allergeni o di caffeina e se l’involucro dei salumi insaccati sia o meno commestibile (!), ecc... Pignoleria per pignoleria, a proposito di commestibilità, nulla è detto circa la crosta dei formaggi, ma tant’è.Peccato che a fronte di tanto zelo (opportuno, ma che sa un po’ di acqua calda, perché le etichette di molti prodotti già riportano tali indicazioni) ci siano decisioni, prese in precedenza dalla Commissione, che definire stravaganti e niente affatto salutari per i consumatori è dir poco. Come quelle innovazioni di manica larga (introdotte nell’interesse di chi?) che hanno portato a far circolare in Europa e dunque anche in Italia, cioccolato con grassi scadenti al posto del burro di cacao, “aranciate” senza succo di arancia, vino zuccherato o prodotto senza uva, formaggi e latticini ricavati dalla caseina invece che dal latte, e altre “specialità” del genere. Anche per le etichette, nonostante le prescrizioni appena introdotte, manca ancora quel piccolo particolare che farebbe fare il vero salto di qualità nella trasparenza e responsabilizzerebbe i fabbricanti nel rapporto con i consumatori: l’indicazione, con tanto di nome, cognome, o ragione sociale, e indirizzo del diretto produttore. Santa pazienza, è mai possibile che il diretto produttore può restare ancora anonimo? E perché, per le aziende produttrici, qualora non siano imprese individuali, non mettere anche nome e cognome di un “responsabile” della produzione? Per quale motivo possiamo, anzi dobbiamo per legge, conoscere nome e cognome del direttore responsabile di un quotidiano, di un giornale, di una qualsiasi pubblicazione, che al massimo può avvelenare le coscienze, e non dovremmo conoscere le generalità del responsabile degli alimenti che mangiamo ogni giorno e che possono avvelenarci lo stomaco?Ai fini della vera trasparenza non basta, non può bastare, quanto avviene ora in molti casi e, cioè, la sola indicazione del distributore o dell’importatore, dell’imbottigliatore (l’Italia è piena di imbottigliatori) o del confezionatore, oppure di altre figure intermediarie create ad hoc per “manipolare” altrove prodotti altrui, come il condizionatore per i vini o l’elaboratore per gli spumanti. Né dovrebbe bastare – perché anche questo la legge consente pur di non palesare il diretto produttore – apporre sulle confezioni di taluni prodotti (ad esempio, conserve, latte e derivati) il solo contrassegno ovale con l’identificativo CE (Comunità europea) oppure, su altri, il numero d’iscrizione alla Camera di commercio. Vattelappesca, poi.Suvvia! Va bene l’elenco dettagliato degli ingredienti e la tabella precisa dei valori nutrizionali di tutto ciò che di confezionato ci fanno mangiare, ma se manca il nome dell’autore, dell’artefice della ricetta, con chi ce la prendiamo se questa dovesse rivelarsi mal riuscita?
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