Tempi duri per i troppo buoni? Pare proprio di sì. E in effetti se per i bravi automobilisti districarsi tra le tante buche sull’asfalto di una qualsiasi città è diventata, di questi tempi, un’impresa difficilissima, cosa mai dovrebbero allora dire gli studenti del quinto anno, dall’invidiabile curriculum, che sognano la lode agli Esami di Stato? Un traguardo che si può raggiungere solo attraverso un percorso accidentato dove non sono ammessi passi falsi, dove tutto deve essere calcolato al «voto millimetrico», dove non è consentito agli insegnanti una benché minima opinabilità al momento della decisione da prendere poiché tutto deve concludersi sempre e comunque all’unanimità. E’ quanto emerge dalla recente Ordinanza Ministeriale riguardante i prossimi Esami di Stato e in particolar modo i passaggi obbligatori da seguire per assegnare ai ragazzi più bravi il massimo dei voti con la lode. Un vero percorso a ostacoli attende questi futuri nuovi campioni del sapere. Ragazzi che certamente non sono nati con la scienza infusa, ma si sono fatti le ossa strada facendo, con gli anni e con l’aiuto degli insegnanti attenti sia a trasmettere le conoscenze che a trasmettere testimonianza della propria esperienza di vita. Ed è proprio questa complessità relazionale che consente agli uni di puntare alla formazione di uno spirito critico e agli altri di fronteggiare i saperi in continua e veloce evoluzione. Un percorso di eccezionale durezza che richiede allo studente modello un carattere tosto, ma che nello stesso tempo deve suscitare l’ammirazione dei commissari. D’altronde, con l’ultima ordinanza ministeriale, pare siano finiti i tempi dell’abbondanza quando le lodi fioccavano alla pari dei bei voti. Oggi la lode passa da una cruna che si è fatta troppo stretta. Ma forse è meglio così. Non è più tempo di illusioni. Gli stessi ragazzi avvertono che senza una seria preparazione non si va da nessuna parte. Intanto è meglio fare qualche precisazione. Tutto comincia con il triennio. In terza, in quarta e ovviamente in quinta bisogna concludere gli studi con una sfilza di otto e nove nelle diverse materie, comportamento compreso. Bisogna puntare allo spirito critico attraverso un forte processo formativo fatto non di nozioni, ma di apprendimenti. La scuola in questo può rappresentare uno spazio dove poter realizzare questi valori. Ne va di mezzo il futuro dei giovani. E’ sempre stato così. Alla domanda «che cosa devono apprendere i buoni ragazzi?» Aristippo di Cirene rispose: «Ciò che gioverà loro quando siano divenuti uomini». Erano tempi in cui agli uomini virtuosi era solito consegnare un “tripode d’oro”, una specie di riconoscimento al valore e alla bontà. I miei ne avevano uno in ferro battuto (comprato al mercato rionale) e serviva a contenere il braciere per riscaldare l’ambiente. In casa mia non c’erano i caloriferi. Che allegria quando si accendeva la carbonella. Particolare attenzione va poi riposta al credito scolastico. Si tratta di raggiungere sempre e comunque il massimo del punteggio in ciascun anno. Questo vuol dire che bisogna arrivare agli esami con 25/25. Non c’è alternativa. E non è finita. Ci sono poi i punteggi delle tre prove scritte e dell’orale. Anche in questo caso si deve raggiungere il massimo di 15 punti per ciascuna prova scritta e 30 punti all’orale. Infine ecco la ciliegina sulla torta. I commissari non devono ricorrere al bonus per incrementare il punteggio finale. Detto questo una domanda è lecita. Ci sarà mai qualcuno che prenderà la lode? E se sì come va considerato questo strano essere pensante? Normale o fuori norma? Intanto cominciamo col dire che sicuramente tra gli studenti ci sarà pure qualcuno con le carte in regola per aspirare al cento e lode. Allora è bene che gli insegnanti puntino a valorizzare questi pochi allievi sempre in trincea poiché impegnati a schivare i colpi micidiali scagliati dai loro coetanei fatti di «caldi inviti» a non esagerare nell’impegno nello studio per non far scivolare la gran parte della classe in una cattiva collegiale considerazione. Mi par di vedere in questo la stessa situazione in cui si venne a trovare un tal Ermodoro, governatore di Efeso, uomo di grandi virtù, esempio di correttezza, impegno e serietà nell’arte del governo (o tempora, o mores). Alla fine fu invitato con le buone, dai suoi stessi concittadini, a lasciare la città con questa motivazione: «Non desiderando che nessuno di noi sia degnissimo, e constatando che invece ce ne è uno, invitiamo costui ad andare a vivere altrove». Siamo di fronte a una specie di ostracismo di velluto. E’ come dire che ad Efeso onestà, correttezza ed educazione erano bandite dalle più elementari norme di comportamento. Proprio così. E poiché tutto questo contrastava con il modo di vivere della gran parte degli efesini, pressante si fece l’invito a cambiare aria. A qualcosa del genere assistiamo anche oggi. Sembra quasi che quando ci si trova di fronte a uno studente modello, questo rappresenti per i compagni di classe fonte di avversioni e di antipatie, un cattivo esempio, una zavorra ingombrante e per la scuola una patata bollente da gestire. Non da parte degli insegnanti quanto da parte dei genitori che scoraggiati cercano aiuto. Del resto c’è poco da meravigliarsi. Gli adulti in genere sono dei bersagli preferiti. Non sono forse questi i tempi in cui i ragazzi temono poco gli adulti? Non è forse in classe che si manifestano più che altrove quei subdoli tentativi di demolire la figura dell’insegnante? E se questo è vero allora c’è un motivo in più per continuare a cercare la buona strada da indicare ai ragazzi che a loro volta sono in cerca del percorso da indicare alla propria strada. Questo vale anche per gli adulti che vanno educati a scoprire i talenti da mettere a frutto, ma anche da mettere a disposizione di tutti. Non si può essere testimoni della crescita dei ragazzi e far vista di non vedere; non si può ascoltare ciò che dicono e far finta di non sentire.
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