Educhiamoli finché siamo in tempo

Riprende in questi giorni il processo contro alcuni ragazzi, oggi più che ventenni, che all’epoca dei fatti erano appena maggiorenni (tranne uno del gruppo), studenti di una classe quinta di un istituto superiore nel bresciano. Per finire processati c’è da pensare che l’abbiano combinata grossa e in effetti se pensiamo a cosa sono stati capaci di fare, una condanna non sarebbe poi tanto sbagliato infliggere. In breve questi nove bravi(?) ragazzi, utilizzando i bagni come base operativa, si sono divertiti ad applicare la legge del nonnismo nei locali della loro scuola, scaricando le malefatte sui ragazzi delle classi prime. I bagni, purtroppo, sono spesso trasformati in zone off limits dove tutto può avvenire senza che nessuno possa accedere, dove i ragazzi sono oggi capaci di regolare gli sfinteri uretrali per dedicarsi al fumo, per scatenare gli ormoni o per umiliare i più deboli. Ma giusto per entrare nei dettagli di quanto commesso, questi nostri baldi giovanotti hanno, tra l’altro, costretto alcuni compagni di scuola a fare flessioni con la testa nella turca o anche a costringere una ragazza a infilare un profilattico nel rotolo di carta igienica trattenuto tra le gambe da un altro ragazzo. Cito solo quelli più narrabili, omettendo altri che fanno solo rabbrividire. Vessazioni, umiliazioni, minacce erano all’ordine del giorno. Reazioni severe erano pronte per essere applicate a chi si sarebbe permesso di raccontare i fatti ai genitori o ai docenti. Ma qualcuno racconta tutto a casa e il seguito lo possiamo immaginare. La scuola fa la sua parte, mentre le famiglie dei ragazzi, fatti oggetto di angherie, si rivolgono ai carabinieri. Finalmente, grazie al coraggio di qualche studente, all’intervento della scuola e a quello dei genitori, l’incredibile e vergognosa vicenda ha fine. Due le strade seguite. L’una scolastica e l’altra giudiziaria. La scolastica si è chiusa con una severa punizione, mentre in questi giorni l’iter processuale riprende il suo cammino e per questi ragazzi, tutti comunque già maggiorenni all’epoca dei fatti, si profila una condanna che speriamo sia esemplare. Siamo di fronte a un’escalation violenta senza precedenti che ha come luogo d’azione la scuola, come attori i ragazzi e come vittime gli stessi coetanei. Ora si può forse trovare una relativa comprensione per una stupidata isolata; si può forse rimanere soddisfatti quando da una scemata nasce un vero pentimento per quanto commesso, ma come fare ad avere comprensione per fatti così brutti, deprimenti e reiterati, che hanno per qualche tempo umiliato dei ragazzi e ragazze con la sola colpa di essere al primo anno delle superiori? Come si fa a non punire simili comportamenti. No. Qui c’è poco da comprendere perché qui è tutto chiaro. Abbiamo a che fare con ragazzi gradassi che si sono tanto divertiti nei bagni a mortificare i più deboli, a sottoporre ad ogni tipo di sopruso e angherie i propri compagni di scuola, trasformandoli in autentici zimbelli sotto gli occhi divertiti dei presenti impegnati a fare da cornice al bestiale spettacolo. Ragazzi prepotenti che sapevano di fare cose che non si potevano fare, che minacciavano le vittime poiché consapevoli che solo il silenzio mescolato alla paura li avrebbe preservati dalle conseguenze per i loro gesti. D’accordo la comprensione non deve mai mancare nell’analisi dei fatti, ma quando si supera ogni limite racchiuso nel cerchio goliardico, allora questi ragazzi vanno fermati, giudicati e se colpevoli dei fatti loro ascritti, condannati con la sola speranza che la condanna comminata sia adeguatamente commisurata alla colpa commessa e sia poi effettivamente scontata. Qualcuno può dire che episodi del genere sono sempre esistiti nelle nostre scuole. E’ vero anche questo. Ma di nuovo c’è che oggi dobbiamo fare i conti anche con la cattiveria che prima non c’era. Una cattiveria che cresce nella convinzione che in fondo non accadrà nulla se non un qualche sia pur sonoro rimprovero senza che una sacrosanta punizione possa seguire. E invece bisogna intervenire. Per comprendere le ragioni di questa mia convinzione è sufficiente dare qualche sbirciatina su internet per vedere cosa gira sul sito di scuolazoo e allora forse si potrebbe capire come la dignità dei singoli viene messa alla berlina in barba a ogni etica comportamentale. Oggi tutto viene filmato, ripreso e trasmesso per divertirsi e far divertire come, ad esempio, il ragazzo che si spoglia in classe senza freni inibitori e scambia i vestiti con un altro entrambi incuranti dell’insegnante. Certi abusi superano ogni livello di comprensione per sfociare nel livello della ridicolaggine gratuita che non ha mai alcuna giustificazione. Umiliare è sicuramente la più bieca delle violenze che uno possa subire. Se poi a tutto questo si aggiunge la spavalderia dei singoli, contenti di sottolineare le proprie imprese, filmandole e inserendole on line giusto per partecipare a qualche concorso, lasciando al numero delle cliccate il successo dell’impresa consumata, allora siamo arrivati nel gradino più basso della stupidaggine umana. Si rimane esterrefatti di fronte a simili episodi vieppiù perché commessi da ragazzi che a scuola hanno l’opportunità di vivere qualificate esperienze educative, uniche, corredate da una significativa connotazione relazionale. Ragazzi che hanno la possibilità di arricchire il proprio livello di conoscenze e competenze, ma anche e soprattutto di imparare a rapportarsi con rispetto nei confronti di persone, cose e strutture. Guai se ci limitassimo ad accontentarci del solo livello delle conoscenze. La formazione va di pari passo con l’educazione. A scuola, come nella vita, ognuno è responsabile delle proprie azioni nell’ambito dei doveri da assolvere, mentre si preferisce sottolineare il riconoscimento dei soli diritti. I ragazzi devono imparare a pagare in prima persona gli errori che commettono anche se accompagnati da gesti di comprensione e di equilibrata tolleranza. Ma tollerare non vuol dire sopportare e sopportare non vuol dire rassegnarsi. Con certi ragazzi c’è poco da tollerare, poco da sopportare e non c’è nulla di cui rassegnarsi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA