Sappiamo chi sono. Facce congestionate, braccia issate al cielo, “Indignados”: ragazzi e meno giovani che si fregiano di quest’ epiteto per aggregarsi ad una crescente moltitudine di persone che protesta nei confronti della finanza, delle banche, del potere, degli egoisti straricchi; protesta contro un modello di società che trascura i deboli, che difende i privilegi dei più forti, che ignora principi irrinunciabili per il futuro e la dignità del genere umano. Questa, sempre più nutrita, schiera di dissidenti, scende in piazza ed espone le proprie ragioni in larghissima parte condivisibili, pacificamente, civilmente, urlando slogan e mostrando cartelli: “We are 99%”.(Vogliamo ignorare con disprezzo quegli altri che, vigliaccamente mimetizzati e mascherati, approfittano per dar sfogo alla stupida, ottusa violenza, fine a se stessa). Gli “indignati” di New York, Atene, Londra, Roma, Madrid sono ripresi dalle telecamere, portati in giro per il mondo, fin dentro le case, suscitando commenti e interrogativi, scomodando sociologi e psicologi, scatenando una ridda di interpretazioni, risvegliando gli appetiti di certe frange politiche in cerca di nuovi consensi.
Lasciamo agli esperti le dissertazioni e le analisi del fenomeno ora in tumultuosa divulgazione.
Noi, invece e nel seguito, vogliamo dar voce ad altre, dimenticate, categorie di “indignados” che, a causa d’impedimenti diversi ma concorrenti, non possono esprimersi con scritte e clamori, ma che avrebbero, con certezza, mille rivendicazioni da avanzare a fronte delle iniquità e delle ingiustizie subite.
La speculazione internazionale e la crisi hanno provocato l’aumento dei prezzi dei cereali, ma poca attenzione viene rivolta ai milioni di individui che incontrano sempre maggiori difficoltà a procurarsi il cibo giornaliero. I bambini del Corno d’Africa, della Libia, stoltamente tappezzata di armi, della Costa d’Avorio, non sfilano per le vie cittadine, ma mostrano semplicemente la loro sofferenza attraverso i volti emaciati ed i pancini idropisiaci. Per costoro, piccoli e adulti, esterniamo tutto il nostro sdegno, provando rimorso e vergogna per l’opulenza dei supermercati e per le tonnellate di “pani e di pesci” che ogni giorno finiscono in pattumiera.
Ai misfatti verso i propri simili, si aggiungono quelli contro la madre terra e i suoi altri occupanti.
Un gruppo di valenti tecnici ha messo a punto un mini-drone in grado di svelare, mediante ricognizione dall’alto, i cumuli di rifiuti, quasi sempre micidiali miscele tossiche, biecamente celati a parecchi metri di profondità, grave attentato alla preziosa falda acquifera. Il minuscolo aeromobile telecomandato può svelare questi criminosi scempi perpetrati con cinismo ed ignoranza a danno del territorio, ma non evidenzia il messaggio di muta, sacrosanta indignazione che pianure valli, colline, fiumi e ruscelli diffondono tra l’indifferenza e la rassegnata accezione. Per esse e con esse rabbiosamente invochiamo più attenzione, rispetto, intransigenza !
Domenica d’ottobre, fresca, invitante ad un godibile giro nelle campagne che stanno indossando i colori dell’autunno. Incrociamo tre individui, bardati con tascapane, cartucciere e schioppi. Avanzano di conserva in mezzo ai campi con calzature e vestimenti costosi, preceduti da uno splendido, ignaro setter, pronto a stanare la selvaggina. Uno di loro esibisce orgogliosamente la preda: un leprottino a testa in giù con il dorso fracassato. Piena comprensione per l’homo erectus che cinquecentomila anni fa batteva le paludi a caccia del proprio sostentamento. Piena comprensione per il leone che nella savana ghermisce la trepida antilope. Massima esecrazione per chi, avendo abbondantemente di che sfamarsi, priva della vita animali mansueti ed innocui, per il solo gusto di uccidere. Raccogliamo e facciamo nostre le mute rimostranze di mammiferi e volatili selvatici che ogni anno pagano il loro tributo a tale forma di gratuita crudeltà.
A decine di migliaia di chilometri, in Nuova Zelanda, nella baia di Plenty, una nave, stracarica di containers, instabilmente impilati in altissime e traballanti colonne con il palese scopo di massimizzare i profitti, si è incagliata sulla barriera corallina ed ha perso parte del carico assieme a centinaia di tonnellate di nafta. La marea nera ha invaso la costa, residuo paradiso della biodiversità, uccidendo fulmari, priori, albatri e gabbiani.
Se, dentro un capannone, un uomo muore, colpito da un carico sospeso in precario equilibrio, va in prima pagina sui giornali e tutti, giustamente, invocano l’inosservanza del disposto legislativo formulato a difesa e protezione dei lavoratori. I corpicini di quelle incolpevoli creature, sciabordanti sull’arenile, non suscitano nemmeno una distratta menzione e nessuno si sogna di porre orecchio al dolore silenzioso dei “sopravvissuti” che attoniti ed impotenti sorvolano le fetide, funeree acque bluastre.
Per conto di tutti coloro che ancora oggi nel mondo continuano a morir di fame, della litosfera nel cui ventre vengono, incoscientemente ed impunemente, iniettati veleni d’ogni specie, delle “chiare fresche e dolci acque”, ormai pallida reminiscenza, dei fagiani e delle anatre ignobilmente impallinati, degli uccelli marini di entrambi gli emisferi, sfrattati e perseguitati in nome del progresso, e per tutte le altre, innumerevoli violazioni di fondamentali, naturali regole e diritti, ci dichiariamo e rimaniamo inappellabilmente, irriducibilmente, visceralmente... “indignados”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA