Che la scuola sia entrata nelle attenzioni dei mass-media non c’è alcun dubbio, ciò che lascia perplessi sono le idee o le proposte che circolano in piena libertà. Va beh che ognuno deve sentirsi libero di esprimere le proprie opinioni o come dice Popper che «ogni uomo deve essere libero di avere le proprie idee. Pazienza se poi queste non coincidono con le mie», però quando è troppo, è troppo. Di recente si è fatta strada nel mondo politico l’idea di spuntare le unghie ai presidi (voglio vedere come faranno con quelli che se le mangiano). Fuori di metafora si vuole arruolare i futuri presidi non più con contratti a tempo indeterminato previo superamento di un concorso, ma con contratti a termine legati ai risultati. In poche parole l’amministrazione vuole le mani libere per chiudere i contratti in caso di scarso rendimento. E questo ci può anche stare. Ciò che trovo discutibile è l’intenzione di superare la formula concorsuale per affidarsi a incarichi ad personam senza un minimo di selezione a monte. Ma non lamentiamoci, in giro c’è di peggio. In Inghilterra, ad esempio, si sta pensando di rendere la vita ancora più grama soprattutto ai docenti. Entra, per la prima volta nell’amministrazione inglese il concetto di docente passibile di rottamazione, (concetto assai di moda oggigiorno) ovvero di docenti a cui dare il ben servito se, una volta valutati, siano ritenuti non adatti all’esercizio della propria funzione. E’ prevista anche una soluzione consolatoria. In caso di deludente impegno professionale il docente in odore di rottamazione, può rifarsi seguendo un percorso di riqualificazione professionale. Una sorta di opzione di riserva offerta al poveraccio di turno per uscire da una situazione imbarazzante. Il malcapitato docente sarà tenuto a frequentare corsi di aggiornamento al termine dei quali si procederà con una verifica e valutazione per stabilire se è in grado di continuane l’attività didattica. Una specie di «tagliando professionale» da guadagnare sul campo. Qualcuno ha paragonato questo sistema a quello in uso nella motorizzazione con il tagliando della macchina. Come la macchina, infatti, è periodicamente sottoposta a revisione a tutela della sicurezza di chi guida e di chi si trova a bordo, così i docenti, secondo gli inglesi, dovrebbero essere sottoposti a periodici corsi di aggiornamento con verifica a garanzia dell’efficacia dell’azione didattica rivolta agli studenti. E se non supera l’esame di verifica? Allora non rimane che la rottamazione. Fino ad ora eravamo abituati a sentire di politici da rottamare, quelli in odore di naftalina, quelli classificati come «desueti» poiché fuori stagione, quelli attaccati alla poltrona. Ora vedo che anche nella scuola comincia a farsi largo questa idea. Fuori i docenti stanchi e demotivati (e questo va bene), dentro i giovani gagliardi ed entusiasti (e anche questo va bene). Via l’incarico a tempo indeterminato, avanti con l’incarico a termine con verifica di eventuale riconferma. Ma non è finita. C’è poi chi va giù ancor più duro e auspica di chiudere la porta allo Stato in tema di istruzione. In altre parole avanti con la liberalizzazione della scuola sull’esempio di alcune esperienze europee dove non è poi così proibitivo mandare a casa gli insegnanti per niente motivati per lasciare ad ogni scuola la libertà di assumere gli insegnanti migliori. Come si vede siamo nella giungla delle idee, le più disparate, le più spinte, ma anche le più provocatorie. Si rileva, tuttavia, un comune denominatore: la voglia di qualità nell’insegnamento. Ed è giusto che sia così. Un insegnante, un preside, brillanti nel tempo che fu, anche se di grande esperienza, dovrebbero poter lasciare la scuola non appena si afflosciano (per fortuna non è il mio caso). Del resto come diceva Flaiano «Com’è noto gli esseri umani nascono rivoluzionari e muoiono pompieri» (con tanto di rispetto ai nostri pompieri). Ma evidentemente non così la pensano i nostri politici che continuano ad allungare l’età da «turn over» con buona pace dei nostri aitanti giovani aspiranti docenti. Certo la scuola non può essere paragonata alla politica. L’esperienza degli insegnanti maturata in anni di servizio può essere messa a disposizione dei giovani che continuano a vivere le prime esperienze di insegnamento senza un minimo di tirocinio formativo. Dunque possiamo affermare che al di là di ogni tecnicismo professionale esiste una sorta di percorso didattico che si renderebbe necessario abbracciare, prima di dedicarsi all’insegnamento. Ma questo attualmente non esiste. Ci sono solo graduatorie infinite, precari di lungo corso, docenti demotivati e frustrati da anni di precariato e di scarsa considerazione sociale. Tutto questo non aiuta ad amare il proprio lavoro che si vive spesso come un fardello da sopportare almeno fino a quando non matura un’altra occasione lavorativa. In tal caso la scuola è un ripiego reso obbligatorio da avverse circostanze che non consentono altre soluzioni. Possiamo immaginare quale motivazione accompagni la giornata di questi insegnanti. Una nuova emergenza, dunque, si affaccia all’orizzonte. Si parla con sempre più insistenza di una scuola di qualità, di una scuola che prepari degnamente non solo la futura classe dirigente, ma anche una nuova generazione di imprenditori capaci di inserirsi con padronanza e sicurezza in un sistema sempre più globalizzato. Una strada che può essere percorsa ad una sola condizione: la scuola non può più essere considerata l’ultimo anello della catena sociale. E’ sbagliato scaricare sulla scuola le scelte al ribasso. Occorre un’inversione di tendenza che comporti un forte impulso in fatto di investimenti. Non va dimenticato che da noi l’istruzione è il settore dove facilmente si abbatte la mannaia, generando una miriade di problemi dalle soluzioni sempre più complesse e dagli esiti sempre più preoccupanti. L’abbandono scolastico, le scarse risorse economiche, il precariato cronico, la trascurata professionalità dei docenti non si risolvono con le idee in libertà, ma con una articolata e oculata programmazione che faccia della scuola il pensiero primo di un Paese civile. Può avere significato tutto questo? Per alcuni credo di sì, per altri rimane un semplice flatus vocis.
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