Hanno chiuso le curve, e qualcuno si è accorto che certi ultras sono improvvisamente finiti in fuorigioco, Poi le hanno riaperte con la “condizionale” e nessuno ha capito che dentro quei catini, a forza di cori razzisti e violenze assortite, sta finendo una civiltà. L’escalation legata prima alla chiusura delle curve e poi di stadi interi, che ha colpito il Milan a livello nazionale (provvedimento poi sospeso per la modifica della norma sulla discriminazione razziale e territoriale) e la Lazio a livello europeo, ha riacceso la polemica sulla responsabilità oggettiva dei club di fronte all’atteggiamento fuori controllo assunto da molte frange delle tifoserie più estreme. Una battaglia che ha quantomeno riacceso i fari su una situazione non più tollerabile.Da una parte gli organismi del calcio sprecano fiumi di parole per raccontare un football a misura di famiglie, dall’altra consegnano gli stadi a manipoli di esaltati che finiscono per rendere i catini una sorta di “terra di nessuno” dove ogni legalità sembra rarefatta, dove l’impunità sembra quasi una regola. Questo almeno fino a quando l’Uefa ha deciso il pugno di ferro contro ogni barbarie, anche solo verbale. L’Italia ha provato ad accodarsi, poi ci ha ripensato, si è fermata a metà strada: ora le sanzioni in materia restano sospese per un anno solare e vengono applicate, eventualmente maggiorate, solo in caso di recidiva; e la valutazione della portata del fenomeno discriminatorio è affidata alla discrezionalità del giudice sportivo. La reazione suscitata dai primi provvedimenti sanzionatori ha prodotto situazioni paradossali, che legano ad esempio la tifoseria che offende alla tifoseria offesa, i controllati ai controllori, le vittime ai carnefici. Dopo la decisione della chiusura dello stadio del Milan per i cori di discriminazione territoriale contro i napoletani (ribadiamo che il provvedimento è stato sospeso), arrivano dagli spalti di Marassi e dello Juventus Stadium le prime prese di posizione all’invito dei sostenitori dell’Inter, intenzionati a stidiare una linea comune anche con i colleghi della Lazio con cui sono gemellati. Tutto l’universo ultrà si schiera compatto contro la norma che punisce i cori di discriminazione territoriale con la chiusura degli stadi.Persino gli ultrà napoletani, solidarizzando indirettamente con quelli milanisti, hanno mostrato nella loro curva uno striscione che insulta proprio Napoli, in segno di sfida verso quelle autorità calcistiche chiamate a prendere provvedimenti disciplinari. Peccato che nelle altre parti d’Europa, quando accade un fatto analogo, se ne prende atto e si cerca di voltare il più velocemente pagina anziché aprire infruttuosi dibattiti. Quando si offende la dignità umana, quando un intero stadio diventa ostaggio di poche decine di scalmanati, c’è poco da scherzare. Per decenni abbiamo minimizzato atteggiamenti gravi attorno al nostro pallone. Se il nostro calcio chinerà ancora il capo nei confronti dei poteri forti, la sua credibilità arriverà al minimo storico. Forse la svolta punitiva non è la soluzione migliore. D’altro canto dal presidente della Uefa Platini al presidente Coni Malagò, hanno espresso grosse riserve sui punti di penalizzazione da comminare alle squadre delle tifoserie coinvolte: significherebbe consegnare i propri destini nelle mani degli ultrà. Un rebus non da poco che però esige una soluzione rapida, per la sopravvivenza stessa del nostro calcio.
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