«E’ finita» è stato il grido più ricorrente accompagnato da fischi inumani resi più umani da qualche abbraccio distribuito qua e là con l’immancabile lacrimuccia tipicamente femminile mentre un’enorme massa indistinta guadagna l’uscita, la stessa che li ha visti entrare per più di duecento giorni di scuola. Sono i ragazzi della mia scuola che vivono così l’ultimo giorno di lezioni prima che una più impegnativa riflessione davanti ai cartelloni prenda il posto della spensieratezza. Per molti di loro significa prepararsi a vivere le vacanze in gruppo o in compagnia dei genitori, per altri ci sarà una coda per un rinnovato impegno estivo con i debiti da saldare prima dell’avvio del nuovo anno scolastico, per altri ancora, tra una triste aspettativa o una inattesa sorpresa, si tratteràdi gestire un insuccesso che non vuol dire sconfitta o, peggio ancora, fallimento. In questo caso va considerato per quello che effettivamente è, ovvero un semplice insuccesso che nell’arco della vita potrebbe capitare a chiunque e che va vissuto come un’occasione per riflettere, analizzare e migliorare, evitando di ripetere i medesimi errori. Un altro anno scolastico si avvia così alla chiusura. L’archiviazione dei dati porterà con sé tante storie belle, simpatiche e tristi che si sono imposte all’attenzione di presidi, professori e personale tutto. Storie importanti e meno importanti che spesso finiscono per condizionare le relazioni tra scuola e famiglia, ma anche storie dalle forti connotazioni sociali e famigliari tanto da incidere pesantemente sullo stesso rendimento scolastico dei ragazzi, loro malgrado, coinvolti. E’ stato un anno con qualche novità alcune delle quali accolte con una certa leggerezza dai ragazzi. Alludo al giro di vite imposto sul divieto di fumo anche negli spazi esterni agli ambienti scolastici. Una norma mal sopportata, aggirata se non addirittura sfidata, indice di non condivisione e quando manca la condivisione l’impegno educativo si fa più faticoso poiché sentito come imposto e non come progetto accettato. Questo la dice lunga su come il problema educativo sia molto lontano dall’essere accettato come un patto di corresponsabilità. Talvolta la collaborazione si infrange contro un muro venuto su, chissà come, a separare chi è chiamato al rispetto delle norme da chi è chiamato a farle rispettare. Il problema di fondo sta tutto qui. Se i docenti quotidianamente sono impegnati sul fronte della gestione dei divieti e dei conflitti, dall’altra parte i genitori pare essere preda di uno duro monito della serie “mi dispiace, ma non sono d’accordo”. Siamo in piena crisi di condivisione tanto che certi valori una volta ritenuti comunemente non negoziabili, oggi sono ritenuti discutibili. La cartina di tornasole è rappresentata dal costante aumento di tensioni tra docenti e genitori divisi dalle modalità di gestione di alcuni divieti non più ritenuti in sintonia con i tempi. E’ come dire che ad una scuola considerata eccessivamente conservatrice, corrispondono genitori che si ritengono più aperti, più sensibili ai cambiamenti, in altre parole più vicini ai figli, ma più lontani dai docenti. A questo punto il lavoro educativo si fa più arduo. Il conflitto tra scuola e famiglia si fa più determinato, lo scontro tra docenti e genitori più frequente, i danni più concreti. Non vengono spesso, ad esempio, condivise le iniziative delle scuole sul ritiro dei cellulari utilizzati dai ragazzi in classe durante le lezioni. Il ritiro viene considerato «piratesco», illegale, non rispettoso della privacy dello studente. Esce potenziato l’orgoglio dei genitori messi in discussione, mentre perde efficacia la dignità di un docente messo in ridicolo sulla rete. Non vengono accolte le decisioni della scuola prese per punire i ragazzi scoperti a limonare nei corridoi. E se per i presidi i baci sono effusioni fuori luogo, per certi genitori sono, invece, segni di crescita sentimentale. Ricordo che qualche anno fa il mio collega del liceo Newton di Roma con una circolare vietò i baci nei corridoi della sua scuola per prevenire «un’epidemia di influenza aviaria» (grande collega). Che dire poi dell’abbigliamento? Altro tasto dolente. Alcuni miei colleghi si sono lanciati sul tema con una circolare interna per richiamare l’attenzione dei genitori sull’opportunità di un maggior controllo sull’abbigliamento. Apriti cielo! Queste circolari non vanno fatte. Per molti genitori «l’abito non fa il monaco» ergo la scuola non ha il diritto di imporre regole restrittive sull’abbigliamento. Via i tabù che sono un freno alla libera affermazione della propria personalità. E allora liberi di uscire di casa vestiti anche in modo stravagante. Sotto gli occhi compiacenti di mamme commosse nel vedere le proprie figliole fisicamente cresciute e socialmente emancipate, alcune ragazze arrivano a scuola con magliette eccessivamente scollate, generose nell’offrire incontrastati panorami appenninici. E che dire delle minigonne? La stessa Mary Quant probabilmente le avrebbe allungate un pochino. Per molti è una nuova rivoluzione dei costumi, per noi presidi sono semplicemente indumenti alla moda indossati però in luoghi sbagliati. Senza parlare dei «leggings», chiamati ad esaltare forme e curve che altrimenti sarebbero rimaste nella totale indifferenza di occhi distratti o presi da altri interessi. Un discorso a parte meritano i jeans arricchiti di strappi artistici frangi forme, taluni posizionati all’altezza di parti anatomiche strategiche tanto da liberare le più stravaganti idee in tema di apprezzamenti o di pesanti critiche. Sto parlando di jeans sfrangiati o strappati, ma di gran moda e per questo pagati a suon di euro. E io che butto via i miei pantaloni strappati. Che errore commetto! Li potrei rivendere ai ragazzi e guadagnarci sopra. Una certa perplessità fa sorgere anche il ritorno degli hot pants, al secolo pantaloncini corti, stile balneare, indossati dalle ragazze che confondono la serata in birreria dalla mattinata a scuola. Sono solo alcuni grossi problemi che stanno modificando i rapporti e le relazioni tra i genitori e i docenti. Sul tavolo certi valori un tempo condivisi, oggi non più; un tempo fondamentali, oggi relativi; un tempo comuni e divulgati, oggi privati e difesi. Comportamenti ritenuti sbagliati dai docenti, vengono, invece, considerati corretti dai genitori. Per concludere potrei dire che nulla si completa, ma tutto si contraddice.
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