Buona scuola e cattivi maestri

Si può parlare di «Buona Scuola» in un periodo come il nostro? Quotidianamente dobbiamo fare i conti con alcuni cattivi insegnanti, cattivi amministratori, cattivi padri e madri, per farla breve, cattivi esempi di vita. Siamo bombardati di continuo da notizie che di buono non hanno proprio nulla. La cronaca, infatti, ci racconta di maestre che picchiano i bambini all’asilo, di badanti che picchiano anziani infermi, di amministratori mariuoli che intascano tangenti (pardon oggi si chiamano “compensi per intermediazioni tra parti contrapposte”), di mariti che uccidono le mogli, di genitori che uccidono i figli e di figli che uccidono i genitori. Si potrebbe continuare ancora, ma rischierei di deprimere i lettori e allora è meglio finire qui e cerchiamo di capire perché i grandivalori della vita sono caduti in disuso tanto da far tremare chi lavora per le buone cose. A farci arrabbiare ci pensano anche i nostri giovani studenti che al grido «La Buona Scuola siamo noi» fanno tremare la giugulare per le intollerabili guerriglie urbane alternate a violenti scontri con la polizia. Così facendo si rendono poco credibili come interlocutori fino a far sorgere dei seri dubbi in chi scommette su di loro e sulle loro capacità di avanzare proposte alternative. Come si fa a parlare di «Buona Scuola» quando tutt’attorno si fatica a trovare qualcosa di buono? Da quale scuola sono usciti questi signori che la infangano con i loro discutibili comportamenti, le loro immorali ruberie, i loro sinistri messaggi, le loro cattive azioni. Maestri, dirigenti, politici, imprenditori, studenti invasati, tutta gente che ha frequentato e frequenta la scuola e che probabilmente pensa a un futuro migliore. Migliore per chi? E poi chi sbaglia? Sbaglia la scuola? E se sbaglia la scuola, dove sbaglia? Siamo così sicuri che sia la scuola a farli diventare, una volta adulti e socialmente affermati, dei cattivi esempi di vita? C’è dell’altro da considerare. Quante volte mi sento ripetere che la colpa di tutto ciò che accade oggi va ricercata nella società. Una società spudorata, indifferente, cinica, spogliata dei suoi valori educativi. Ma la società siamo noi con tutte le nostre azioni, le nostre scelte, i nostri sentimenti, i nostri comportamenti. Cosa possiamo aspettarci da una società così mal vissuta? “Ut sementem feceris ita metes” “Come hai seminato, così raccoglierai” ci ricorda Cicerone. Ecco perché è molto importante il lavoro che si fa a scuola. Non solo. Se la «Buona Scuola» la fanno gli insegnanti, allora vuol dire che anche i cittadini possono fare la «Buona Società». In entrambi i casi gioca un ruolo importante la figura dell’adulto. A scuola da cattivi esempi nascono cattivi allievi e da cattivi allievi nascono cattivi cittadini. Per fare una «Buona Scuola» occorre una buona disposizione d’animo, una paziente opera relazionale, una precisa sensibilità all’ascolto. Visto che in fondo la società siamo noi, se non aiutiamo i nostri ragazzi a uscire educati dalla scuola, difficilmente una volta inseriti nella società potranno cambiarla in meglio. Se vogliamo incidere sul cambiamento della società, cominciamo a lanciare messaggi di coerenza con i valori che andiamo a proporre ai ragazzi. Come si fa a parlare di rispetto della persona se per primo è l’insegnante a non rispettare l’allievo? E’ sufficiente, per questo, ricordare la brutta storia venuta a galla qualche giorno fa in un istituto superiore di Cagliari dove un professore di matematica e fisica in cambio di un sensibile e amichevole «aiutino» abusava della sua posizione per costringere alcune allieve a cedere alle sue avances .....corporali (e bravo allo sporcaccione). Bell’insegnante! Questo docente, oggi agli arresti domiciliari, non è solo un cattivo maestro, ma è anche un pessimo esempio di vita dal momento che mistifica il comportamento solidale, riducendolo a mezzo e strumento di umiliazione verso le sue allieve. Allora come primo passo a questo signore, a cui evidentemente poco importa la «Buona Scuola», bisogna togliergli la cattedra e indirizzarlo non solo verso le finestre a sbarre, ma anche riorientarlo nella professione. Via dalla scuola! Che vada a fare un altro mestiere! Questo principio evidentemente, va applicato in tutti i campi della vita sociale. Vale per la politica, per la classe imprenditoriale, per gli amministratori, per le professioni in genere. Basta con questo andazzo. Stiamo facendo molto male ai ragazzi. Li stiamo crescendo in una società infangata dalla corruzione, dal malcostume, dai cattivi rapporti, dai falsi esempi. I ragazzi vogliono uscire da questa putrida cloaca sociale che inficia i loro sforzi di lottare per una società più giusta, più attenta, più solidale. Genova docet! Abbiamo visto tutti le immagini di una città sommersa dal fango dove tantissimi ragazzi hanno dato prova delle loro concrete capacità di ripulirla, mettendoci la faccia e sporcandosi le mani. Loro hanno a che fare col fango della natura matrigna, mentre tanti adulti la faccia e le mani se le sporcano con la vergogna dei cattivi comportamenti. Chi sono più credibili? Per cambiare la società cominciamo a cambiare la scuola e per cambiare la scuola cominciamo ad offrire ai ragazzi validi esempi di educatori pronti a spendersi, senza risparmiarsi, per la loro crescita. La «Buona Scuola» non è fatta solo di graduatorie, precari, organici, orario di servizio. La «Buona Scuola» è fatta anche di buoni comportamenti, di docenti disponibili a muoversi per offrire una testimonianza di vita, un autorevole livello professionale, un necessario sostegno che potrà rivelarsi determinante nei momenti più difficili della vita che ai ragazzi, appunto perché ancora giovani, non mancheranno di sicuro. Bruno Ferrero, scrittore ed editorialista salesiano, racconta una bellissima storiella nel libro: “Il segreto dei pesci rossi”. Protagonisti un giovane alberello e un vecchio palo di frassino che il contadino lega all’alberello come sostegno in caso di vento forte. Il giovane virgulto rifiuta il vecchio palo che però si rivela indispensabile al momento di un violento uragano. Risultato l’alberello deve la vita al vecchio palo che viene sradicato. La storiella si conclude con l’intenso dolore che prova l’alberello per quella presenza che infondeva speranza e sicurezza, ma che ora non sente più accanto a lui. Un messaggio pedagogico che fa capire l’importanza di un sostegno da non far mai mancare ai ragazzi. A volte sono i loro occhi a chiedercelo.

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