E ora che succede? Questa benedetta riforma della «Buona Scuola» pare non piacere proprio a nessuno. Scendono tutti in «guerra». Tantissimi docenti non mancano di far conoscere il proprio parere negativo ricorrendo al web. Fioccano battute ironiche, commenti duri, filmati sarcastici, predomina la voglia di veder ben presto il Ministro alle corde. Non mancano all’appuntamento le sigle sindacali che hanno dichiarato scioperi a raffica. Si comincia il 24 aprile con alcuni sindacati per poi continuare il 5 maggio con la discesa in campo dei sindacati storici. E non è detto che sia finita qui. Quest’ultima data mi ricorda tanto un’altra data storica che Manzoni dedicò al grande Napoleone. Scelta casuale? Intanto mi domando. Può il Ministero essere «sì immobile dato il mortal sospiro» della Buona Scuola? Chissà! Una dato comunque è confortante. Riprende il cammino parlamentare, sia pur tra qualche accidente di percorso, mentre la sfida si fa più dura. Mi auguro che non accada quello che di solito in questi casi accade: una brusca frenata al treno in corsa. Sarebbe l’ulteriore conferma che sulla scuola non può esserci nessuna riforma che non sia accompagnata da scioperi, cortei, minacce di blocco degli scrutini e chi più ne ha, più ne metta. Il contrario sarebbe un miracolo. E’ opinione diffusa che ogni volta che si tenta di cambiare profondamente qualcosa, emerge la voglia di lasciare le cose come stanno, a motivo del quale secondo la più «illuminante razionalità», nel nostro caso, meglio sarebbe se si continuasse a ingrossare le graduatorie per poi sperare in una «ope legis» che consentirebbe di immettere tutti in ruolo. E allora sì che saremmo tutti «Todos Caballeros». Ma da dove ha origine questa voglia matta di lasciare stare le cose come stanno? Per prima cosa, dai vari interventi finora registrati, mi par di cogliere il timore di molti docenti di vedersi guidare da un capo d’istituto autoritario, capriccioso, senza scrupoli, pronto ad annullare la creatività del singolo docente. Un capo d’istituto preoccupato solo di ammaliare con «languide carezze» i suoi sudditi, tralasciando chi non scodinzola alla sua vista. Segue a ruota il timore di perdere il diritto, storicamente consolidato da anni e anni di lassismo, di accedere al fondo d’istituto in maniera egualitaria. Un principio che ha prodotto guasti professionali dalle pesanti ripercussioni sui rapporti tra persone all’interno delle nostre scuole. Ora che sta per arrivare il «redde rationem» fortemente voluto dal Ministro, ecco che si solleva il popolo di quelli che preferiscono affidare il loro sacrificio all’assioma del «vai avanti tu che a me mi vien da ridere». Gente che non prova interesse a collaborare, a dare un proprio contributo in fatto di idee o di confronti, convinti come si è che nulla potrà comunque pregiudicare un surplus di riconoscimento economico. E’ la categoria di quelli che nella scuola preferiscono vivere sulle spalle degli altri anche perché tutto è dovuto; la categoria di quelli che approfittano del buon senso di chi vede la scuola un’occasione di crescita culturale e sociale. Perché, dunque, impegnarsi? Tanto «siamo tutti uguali» davanti alla norma. Una norma che fondamentalmente finisce col distribuire a pioggia le risorse assegnate così da scoraggiare chi si impegna e incoraggiare chi fa dell’impegno una discriminante professionale. In questi giorni se ne raccontano di tutti i colori. C’è chi arriva addirittura a segnalare il grosso pericolo della perdita di democrazia all’interno delle istituzioni scolastiche. Ma di quale democrazia stiamo parlando? Se per democrazia si intende rievocare la scuola degli anni dei decreti delegati, la scuola di quarant’anni or sono, la scuola vista e vissuta come una diligenza da assaltare (mi viene in mente il film «Ombre rosse» di John Ford) salvo poi scoprire che non c’era proprio niente da conquistare se non l’impegno per far cresce i ragazzi in cultura, formazione ed educazione. Fu una scoperta amara per i diversi partiti politici che non conoscevano la scuola se non attraverso le liste, i candidati, le elezioni, la propaganda elettorale, i quorum, i seggi da assegnare. Che delusione! E infatti con gli anni la presenza negli organi collegiali è sempre più scemata sino a scomparire quasi del tutto. Oggi si fa persino fatica a mettere in piedi un seggio e sperare che quel seggio sia frequentato da qualcuno che preso da compassione si presenti a scuola per chiedere una scheda da votare. E questa sarebbe democrazia? Questa sarebbe partecipazione? Evidentemente tanti non hanno mai messo piede in una scuola. Parlano senza aver forse mai avuto l’opportunità di vivere una qualificante esperienza educativa, una qualificante esperienza partecipativa. Sono le nuove paure messe in giro per giustificare la convinzione che meglio sarebbe lasciare le cose come stanno. Quindi lasciamo i presidi senza mezzi di governo, lasciamo i docenti senza valutazione, lasciamo gli organi collegiali così come sono oggi, ovvero impoveriti dello stesso sostegno elettivo, tanto ad eleggerli sono uno sparuto di irriducibili che crede ancora nella funzione elettiva.E invece personalmente sono dell’avviso che la Buona Scuola deve andare avanti ad ogni costo! L’iter parlamentare non deve subire interruzioni se si vuole sperare in una istituzione da affidare a una nuova cultura. Una cultura che dovrà necessariamente rivoluzionare quel particolare «sistema scuola» chiamato a fronteggiare le nuove sfide, le nuove frontiere sociali, professionali, educative, in un mondo globalizzato, in una società in rapida evoluzione. Una cultura che se non vissuta con partecipazione e responsabilità potrà portare a una comune sensazione di disorientamento, a una preoccupante chiusura pregiudiziale, a vivere con indifferenza gli emergenti bisogni educativi, le diverse possibilità comunicative, la maturazione di ogni accompagnamento solidaristico. Sono solo alcuni rischi e pericoli.Ma a qualcuno tutto questo non interessa, Anzi. C’è chi ricorda che in base alla sentenza n°1 del 13 gennaio 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la legge istituzionale (Porcellum) che ha consentito l’elezione di questo Parlamento. E’ come voler dire che anche questo governo, questi ministri ivi compreso il nostro Ministro Giannini, sono illegittimi. A questo punto l’unico a salvarsi è proprio lui: Renzi. Lui non è stato eletto in Parlamento. Meno male. Almeno lui!
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