Agricoltura, un obiettivo mancato

“Lombardia sempre meno agricola”, titola a grandi caratteri un quotidiano nazionale, a commento degli ultimi dati congiunturali sull’agricoltura lombarda (quarto trimestre 2010), a cura dell’Unioncamere Lombardia. Questo giudizio è motivato dalla continua e inequivocabile diminuzione delle superfici agricole e dalla chiusura di aziende, mali da tempo denunciati dalla Coldiretti regionale. L’analisi congiunturale, in verità, rileva deboli segnali di ripresa in relazione a un più favorevole andamento del comparto lattiero

caseario e cerealicolo, ma la forte perdita delle superfici agricole non induce all’ottimismo. Perché spariscono i suoli agricoli? E, soprattutto, chi ha interesse a smantellarli? Non c’è alcun dubbio che nell’area del Nord, caratterizzata da una spiccata vocazione industriale e da una forte pressione insediativa, la bassa redditività e fattori di debolezza che agiscono all’interno dell’impresa (età e condizione del conduttore, ecc.) portano col tempo all’abbandono dell’attività agricola, alla chiusura delle aziende e all’uso alternativo della terra. Provocano, in altri termini, il consumo di suoli, termine con il quale si intende la trasformazione permanente e irreversibile di superfici agricole in artificialmente impermeabilizzate, impropriamente dette cementificate. Queste perdono di conseguenza le funzioni biologiche e fisiche (fotosintesi e traspirazione, in primo luogo), che tanta importanza rivestono per gli equilibri della biosfera e la regolazione del clima. L’uso non-agricolo dei suoli è nettamente più favorevole perché costruire strade o case rende molto più che coltivare la terra e per la stessa ragione un terreno destinato all’edilizia vale molto di più di un terreno agricolo. La differenza di valore tra lo stato iniziale (agricolo) e quello finale (edificabile) di un appezzamento di terra costituisce la rendita fondiaria ed è opinione largamente condivisa che essa ha costituito il motore della crescita economica della nazione fin dagli anni Cinquanta. Il mattone selvaggio ha così penalizzato l’innovazione e gli investimenti produttivi affossando l’agricoltura e la cultura rurale. E’ cosa ovvia che molte colpe ricadono su costruttori e immobiliaristi, ma la classe politica e le stesse pubbliche istituzioni hanno grosse responsabilità.

Il destino dell’agricoltura regionale è scritto nelle immagini satellitari, che mostrano l’invadenza delle trasformazioni urbane. La Lombardia, che nel 1990 disponeva di 1,1 milioni di ettari, è scesa in appena quindici anni a 930000 ettari, mentre in soli 3 mesi sono mancate all’appello più di 500 aziende agricole. Dal Primo Rapporto dell’Osservatorio nazionale sul consumo di suoli (Oncs) si vede inoltre che ogni anno nella nostra Regione sparisce una fetta di terra coltivata dell’ampiezza di oltre 44 Km2. Ovviamente Milano è capofila nello scempio urbanistico, ma anche la piccola Lodi si mostra poco virtuosa per i più sostenuti consumi unitari di suolo per abitante.

Per capire l’intensità delle trasformazioni in atto basta scorrere la cronaca de “il Cittadino” degli ultimi due o tre mesi per toccare con mano che campi, prati e boschi diventano qua e là, giorno dopo giorno, in modo inesorabile grigie periferie urbane. Se poi vogliamo parlare di strade, che sono quelle che preparano i futuri insediamenti, i progetti che cadono sotto gli occhi sono: brebemi, pedemontana, quarta corsia in autosole, tangenziale esterna milanese (tem), tangenziale ovest esterna (toe), autostrada Cremona-Mantova, nuovo tratto della s.s 234, riqualificazione della s.s. Paullese, tangenziali di Livraga e di Casale, bretella di Brembio, tanto per citare i casi più noti. Cosa resterà dopo questa spaventosa vivisezione del territorio? Intanto annoto le dichiarazioni di giubilo di sindaci e amministratori quando partono gli espropri dei terreni e si aprono i cantieri, nella perenne illusione che le nuove arterie vincano la battaglia finale contro la congestione del traffico e preservino città e paesi dallo stress e dall’inquinamento.

Ciò premesso, la nuova sfida è quella di tutelare la risorsa suolo con maggior rigore, anche per la salvaguardia di vitali interessi nazionali, tenuto conto che l’agricoltura lombarda produce una quota significativa della produzione lorda vendibile del nostro Paese e che un suo ridimensionamento ne appesantirebbe la bilancia agro-alimentare.

Limitatamente al Lodigiano, è stata avanzata nell’ambito degli Stati Generali un’ipotesi radicale, detta opzione zero, vale a dire niente nuove costruzioni su suoli agricoli, ma solo su aree già costruite, da sistemare e qualificare (aree industriali dismesse, quartieri degradati, caserme abbandonate, ecc.). E’ un’ipotesi coraggiosa, ma secondo molti pressoché irrealizzabile. E’ stata anche valutata un’opzione più flessibile, pari a un consumo di suoli dello 0,1% annuo dell’intera superficie provinciale. Tale soglia, però, non salvaguarda l’integrità dei suoli agricoli nel lungo periodo. L’obiezione è: se l’agricoltura si è evoluta in migliaia di anni, perché mai dovremmo rinunciare a conservarla per gli anni a venire? Insomma, per fare le cose seriamente, se l’opzione non è zero, dovrà essere quasi zero. Al di fuori di una riforma così semplice e radicale, è lecito attendersi un evento altamente drammatico e sconvolgente per l’umanità: il dissolvimento dell’agricoltura e, conseguentemente, il collasso ambientale.

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