Monsignor Paolo Braida racconta i dieci anni di pontificato di Francesco: «La Chiesa nelle strade per annunciare il Vangelo»

Il sacerdote lodigiano vive in Vaticano ed è tra i più stretti collaboratori di Jorge Mario Bergoglio: «Dieci anni fa si presentava al mondo inchinandosi e chiedendo ai fedeli di pregare insieme a lui»

Monsignor Paolo Braida, dieci anni fa la Chiesa accoglieva il nuovo Papa, che ricordi hai di quel giorno?

«Il ricordo di quel tardo pomeriggio del 13 marzo 2013 è vivissimo. Ero in piazza San Pietro, come già per l’elezione di Benedetto XVI. Lavoro in Vaticano dal 1991 e quindi ho potuto vivere l’esperienza di due Conclavi. Dieci anni fa Papa Francesco si presentava al mondo. Voglio sottolineare un aspetto poco evidenziato del suo primo saluto al popolo: quella sera il nuovo Papa non fece solo un saluto, ma fece pregare i fedeli riuniti in piazza. Porto ancora nel cuore la gioia e la gratitudine per quel momento. Papa Francesco fece recitare il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Gloria Padre. Oltre al gesto stupefacente di inchinarsi per ricevere la preghiera del popolo su di lui prima di benedirlo. Si creò un grande silenzio. Ecco, da subito il Papa ha pregato con il popolo ha chiesto di pregare per lui».

Abitare nella Residenza di Santa Marta ti ha permesso di avere uno sguardo privilegiato su Papa Francesco…

«Ricordo il giorno in cui ci arrivò la voce che Papa Francesco voleva rimanere a Santa Marta e non andare nell’appartamento del Palazzo. Come sai, i residenti di Santa Marta – circa quaranta in quel tempo – devono lasciare libera la casa quando c’è il Conclave. Già era capitato dopo la morte di San Giovanni Paolo II, nel 2005. Tutti se ne vanno e Santa Marta viene preparata per i Cardinali. Dunque eravamo fuori già da quasi tre settimane, e si sparse tra noi quella notizia: che il Papa sarebbe rimasto ad abitare a Santa Marta. Eravamo increduli, ci sembrava una cosa impensabile… Ma per il vescovo Bergoglio era invece la cosa più naturale, lui che era abituato così nella Curia di Buenos Aires. E così ben presto, vedendo la grande naturalezza con cui il Papa stava con noi, anche noi piano piano ci siamo abituati. Non dovete pensare che lui vada in giro per la casa a chiacchierare di qua e di là, no, Papa Francesco ha la sua vita riservata, ma non vuole vivere isolato, vuole abitare in una casa abitata da altri. E questo gli serve anche per il lavoro: quando ha qualcosa da dire a qualcuno, lo chiama e gli parla direttamente».

Ti vorrei chiedere: come avete vissuto il passaggio da un pontificato all’altro?

«Parto dal descrivere una sensazione, per arrivare poi a una riflessione. La sensazione che io e altri abbiamo avuto nei primi giorni di Papa Francesco è stata come di sollievo, di una boccata d’ossigeno, come quando in una stanza chiusa spalanchi le finestre… Perché questo? Perché durante l’ultimo periodo del pontificato di Benedetto XVI il clima era diventato pesante, a causa di alcune vicende tristi e della risonanza che veniva data dai mass-media. Si stava un po’ come sotto una “cappa”; l’aria era inquinata da un susseguirsi quotidiano di notizie e messaggi negativi, scandalistici… Ecco perché l’arrivo del nuovo Papa, che ha attirato tutta l’attenzione mediatica – il primo Papa latinoamericano, il primo con il nome Francesco, tanti aspetti nuovi da scoprire… – insomma, è stato un voltare completamente pagina. E il clima si è improvvisamente alleggerito, come per una ventata di aria nuova. Ora però, a distanza di dieci anni, possiamo constatare che anche con Papa Francesco si sono accumulate nel tempo polemiche e critiche a volte pesanti, anche da parte di membri della Chiesa. E allora bisogna fare una riflessione più generale, notando alcune dinamiche simili tra i due pontificati: una riflessione su come i media influiscano sull’opinione pubblica anche riguardo a una figura di riferimento spirituale e morale come quella del Papa. Si può vedere come un clima polemico può alterare la percezione e forse anche la relazione tra i fedeli e il supremo Pastore, come il suo pensiero può essere strumentalizzato e frainteso. E così questa dinamica negativa “disturba” l’immagine del Papa… Questa riflessione è solo abbozzata e andrebbe meglio precisata».

Una Chiesa aperta a tutti: questa idea penso che sia stata spesso fraintesa. Sei d’accordo?

«Papa Francesco ha detto più volte che preferisce una Chiesa “incidentata” perché esce per le strade ad annunciare il Vangelo, a una Chiesa ammalata di chiusura. Dio infatti “esce” sempre per venire incontro a noi, perché è Padre, perché ci ama. A volte le aperture di Papa Francesco sono state interpretate come legittimazione e giustificazione di realtà o comportamenti inaccettabili. Ma queste critiche polemiche erano pretestuose: infatti accogliere una persona non vuol dire accettare ogni suo comportamento. Papa Francesco insiste per una Chiesa aperta a tutti, dalla quale nessuno sia escluso. E poi c’è un altro senso importante dell’apertura: nel “deposito” della Chiesa ci sono cose immutabili, come ad esempio la fede nell’incarnazione del Figlio di Dio, o nella verginità di Maria; e ci sono altre cose che invece mutano, come ad esempio la dottrina sulla pena di morte, o il modo di intendere il ruolo della donna nella Chiesa e nella società. La Chiesa è nel mondo ma non è del mondo, non può sposare concezioni che sono legate a determinati modelli culturali. Lo Spirito Santo la vuole libera perché possa servire fedelmente il Vangelo. Dunque, apertura e fedeltà insieme. Molti contrappongono su questo Papa Benedetto XVI e Papa Francesco, ma sbagliano».

Puoi spiegare meglio che cosa intendi?

«Sì. Semplificando un po’, ti dirò così: Papa Francesco è molto diverso da Papa Benedetto come stile personale, ma nei contenuti dottrinali c’è tra loro grande continuità. E qui risalta un tratto bellissimo della Chiesa Cattolica: questa coerenza pur nella differenza personale e culturale. Pensiamo: un Papa che viene dalla Germania e un altro che viene dall’Argentina: che diversità! E aggiungiamo poi i tratti più personali. Ma questo non toglie nulla alla continuità, anzi, la esalta maggiormente, proprio nella diversità. Riflettiamo: perché i Cardinali, dopo il ritiro di Papa Benedetto XVI, hanno eletto il Cardinale Bergoglio? Penso che si possa riassumere così: perché era un uomo sicuro nella fedeltà al “deposito” della fede delle amorale cattolica e nello stesso tempo un uomo che voleva – e vuole – una Chiesa “estroversa”. Questa è la parola che lui stesso, il cardinal Bergoglio, usò nel suo intervento nell’assemblea dei Cardinali prima del Conclave: e i Cardinali, guidati dallo Spirito Santo, hanno scelto uno che assicurasse fedeltà alla tradizione nello spirito di apertura del Concilio Vaticano II».

Lui si rifà molto a Paolo VI, vero?

«Sì, certo, penso che sia il Papa che ama e venera di più. Ed è il Papa della sua formazione. Lo ha proclamato santo, e fa sempre riferimento all’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, che San Paolo VI scrisse a dieci anni dalla conclusione del Concilio. Per Papa Francesco Evangelii nuntiandi è la magna charta dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo; tante volte lo ha detto e ha esortato i fedeli e specialmente i pastori a rileggerla, perché è pienamente attuale. Il suo documento programmatico, l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, si rifà – non solo nel nome – a Evangelii nuntiandi. Da lì viene l’impostazione di fondo di tutto il pontificato di Papa Francesco: tutto è nel segno dell’evangelizzazione. Anche la riforma della Curia romana, stabilita nel documento che ha voluto intitolare proprio Praedicate Evangelium. Lui vede la Curia tutta in funzione della missione della Chiesa, dell’evangelizzazione. E lo stesso ministero del Papa: lui sta sempre a casa a lavorare, ma ha fatto tanti viaggi apostolici…».

In questo ha imitato San Giovanni Paolo II...

«Sì, Paolo VI ha iniziato i viaggi internazionali, ma Giovanni Paolo II, in 26 anni di pontificato, ha attraversato il pianeta in lungo e in largo con la croce di Cristo. Papa Francesco, in proporzione alla sua maggiore età, ha viaggiato tanto quanto lui, realizzando anche così quella Chiesa estroversa, in uscita, che lo Spirito vuole».

Concludendo, secondo te si può già vedere un patrimonio che Papa Francesco ha consolidato in questi dieci anni di Pontificato?

«Penso alle due Encicliche: Laudato si’ e Fratelli tutt i. Due grandi documenti di chiara ispirazione francescana. Aperti al mondo, rivolti a tutti. Sono i pilastri del suo magistero: da una parte la cura per il creato, nostra casa comune, e dall’altra il cammino della fraternità e dell’amicizia sociale. Laudato si’, del 2015, ha avuto grande risonanza nel mondo, anche negli ambienti laici e lontani dai temi religiosi. Fratelli tutti, del 2020, è la profezia della fraternità in una fase storica che – lo vediamo tragicamente in questo periodo – ha tradito molte speranze e molti “sogni”, fino a sviluppare quella che il Papa chiama una “terza guerra mondiale a pezzi”. Mentre purtroppo il mondo è diviso da conflitti politico-economico-militari, Papa Francesco lavora per la fratellanza, animato dalla fede e dalla speranza nel Padre che è nei cieli».

Caro Don Paolo, ti ringrazio tanto per il tuo servizio di evangelizzazione e di missionarietà che svolgi ogni giorno per la Chiesa, con la Chiesa e nella Chiesa. E grazie per questa condivisione di vita, di fede e di testimonianza, in cui ho sperimentato la realtà della fraternità.

«Grazie a te, Katiuscia, e saluti ai lettori del “Cittadino”!».

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