LODI L’operoso silenzio di San Giuseppe

Il vescovo ha celebrato la Messa nel monastero del Carmelo e pregato in suffragio delle vittime del Covid

La lezione più grande che san Giuseppe ci ha lasciato è il silenzio. Nel mondo contemporaneo, fatto spesso di frasi vuote, di opinioni superficiali, di parole urlate, fare spazio al silenzio significa fare spazio a una voce che sussurra con la delicatezza di una brezza leggera. Come san Giuseppe, come le sorelle del Carmelo, dove ieri mattina il vescovo Maurizio ha celebrato la santa Messa per la solennità dedicata al padre terreno di Gesù.

La fede matura nell’ascolto, viene sublimata nella preghiera che alimenta la speranza, e si trasforma in azione concreta sulle ali della carità, sull’esempio di Giuseppe, uomo di contemplazione ed azione, «custode della Famiglia di Nazareth, patrono della Chiesa universale, di questo Carmelo, dei papà e dei lavoratori», come ha esordito il vescovo Maurizio, durante l’omelia, indicando alla testimonianza silenziosa e operosa delle monache lodigiane.

Questa testimonianza appare incoraggiante dopo la lettura della pagina evangelica in cui i genitori smarriscono Gesù e lo ritrovano nel tempio: «Smarrire Cristo. Può capitare ai battezzati! E persino drammaticamente alla storia e alla cultura». Ma l’esempio delle carmelitane aiuta a rimanere «sui passi di questa fede per non smarrire noi stessi quando ci opprimesse il peso o il nonsenso del vivere, quando esso ci sembrasse insopportabilmente ingrato, quando ad intimorirci fosse il passato con le sue ombre, oppure il presente e il futuro».

Ci intimoriscono, comprensibilmente, gli scenari di guerra che opprimono popoli interi, così come ci intimorì la pandemia, il cui ricordo appare indelebile ancora dopo quattro anni. «Ne facciamo memoria - ha detto il vescovo - nel cordoglio e nel suffragio eucaristico per tutte le vittime nel rendimento di grazie a Dio, che ha santificato il patire e il morire, traghettandoci oltre anche attraverso la straordinaria solidarietà, di cui abbiamo dato prova – a che titolo noi entrati per primi nell’impensabile calamità – insieme all’intera famiglia umana». Monsignor Malvestiti, al termine della Messa, ha pregato insieme ai fedeli ai piedi della statua di San Giuseppe, chiedendone l’intercessione proprio a suffragio delle vittime del Covid. Il popolo di Dio non ha dimenticato la lezione della pandemia, tragico promemoria della fragilità umana che dischiude prospettive di eterna grandezza nella sua profondità spirituale. Il popolo di Dio che ora, memore di quella esperienza, supplica «la giusta pace per la Terra Santa, l’Ucraina e il mondo, che sono sempre in bilico tra prospettive le più cupe e spiragli di ragionevolezza».

Davanti a una situazione che rischia di frustrare ogni speranza, risplende la missione affidata a Giuseppe di Nazareth: «Essere, col suo affidamento nel silenzio operoso della fede di Abramo e di Davide, testimone, segno e strumento di Dio per credenti e non credenti».

«San Giuseppe è il fratello e padre nella fede che risponde alla cruciale domanda che qualifica i veri credenti: dove cercare Gesù, dove trovarlo nello smarrimento del vivere? Nel tempio. È questa la risposta. Tempio di Dio è Lui stesso. Tempio di Dio è il suo corpo ecclesiale. Tempio di Dio è ogni uomo, ogni donna, con la miseria e la grandezza che li connota, perché lo Spirito abita in noi. Troviamo Gesù nelle “cose del Padre e nella sottomissione a Lui”. Ecco la clausura. Lo troviamo nella preghiera della Chiesa e nella nostra. Lo troviamo nella contemplazione: ecco la spiritualità carmelitana. In tal modo non offriremo alle nuove generazioni scontentezze più o meno dichiarate o più o meno velate bensì il segno della gioia profonda, sincera, invincibile quale testimonianza necessaria per dire che vale la pena fidarsi di Dio».

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