
La missione di testimoniare la verità
Al centro del Giubileo della comunicazione la riscoperta della speranza e del valore delle parole
«Saper comunicare è una grande saggezza: il vostro lavoro costruisce la società e la Chiesa, fa andare avanti tutti. Ma a patto che sia vero. Ma... io dico le cose vere. Sì, ma tu, tu sei vero?». Sono queste le parole pronunciate da Papa Francesco sabato 25 gennaio in aula Paolo VI a Roma incontrando i giornalisti e gli operatori del mondo della comunicazione in occasione del Giubileo della Comunicazione al quale ha partecipato anche una delegazione dell’Ufficio Comunicazioni sociali della diocesi di Lodi. Poche parole che hanno detto molto alle migliaia di “addetti ai lavori” in arrivo da ben 138 Paesi del mondo riuniti all’udienza, riconoscendo di fatto il valore della comunicazione nella società, che è un valore edificante solo se la comunicazione si basa sulla verità di ciò che si comunica ma anche di chi comunica. Proprio mentre il settore si interroga sul ruolo dell’Intelligenza artificiale nei circuiti dell’informazione, Papa Francesco ha riportato infatti al centro del dibattito l’Uomo, quella sua saggezza di saper comunicare che deriva da ciò che è proprio dell’essere umano, il pensiero e il cuore. Il tutto per essere comunicatori di speranza: questo il mandato giubilare consegnato dal Santo Padre a tutto il mondo della comunicazione.

L’incontro con Papa Bergoglio e la Santa Messa domenicale però sono stati preceduti da un percorso che si è aperto giovedì 23 gennaio con il Convegno nazionale “2025: A.I. confini della comunicazione”, organizzato dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana (Cei) per interrogarsi sull’Intelligenza artificiale e sui suoi impatti nel settore della comunicazione e nella società. Un cammino nel cammino, che nelle parole di Vincenzo Corrado , direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, ha trovato la sua sintesi: «In una società in cui si è sempre più connessi ma paradossalmente isolati, gli operatori sono chiamati ad essere pellegrini di speranza, perché il pellegrinaggio ci dice che accanto a noi c’è sempre qualcuno che cammina, il pellegrinaggio rappresenta il compimento dell’azione comunicativa e ci dice che non si cammina disincantati per le strade ma il cammino è immersione profonda». È incontro con l’Altro, quell’incontro che non ha nulla a che fare con quel “cibo precotto” - così lo ha definito Maria Grazia Carrozza del Centro nazionale ricerche (Cnr) - che alcuni sistemi di A.I.restituiscono agli stessi giornalisti, alle stesse redazioni, alle stesse piattaforme on line: il giornalismo invece ha bisogno di cucinare come una nonna ai suoi nipoti piatti completi, curati, fatti di materie prime verificate, genuine, preparati per amore della verità che è già speranza.

Come osservato da Alessandro Gianotti, vice direttore della direzione editoriale del Dicastero per le Comunicazioni della Santa Sede, «la speranza cristiana non ammette la falsa prudenza, nella comunicazione siamo chiamati ad essere provocatori di cambiamento, coloro che denunciano ciò che non va; il giornalismo è più di un lavoro è una missione». E per compierla non bisogna oltrepassare “il senso del limite”.
Per Antonio Preziosi, direttore del Tg2, occorre chiedersi se è meglio arrivare prima con una notizia ma con informazioni sbagliate o arrivare secondi ma con le informazioni corrette, e occorre approfondire per spiegare le cose.
Dai media cattolici - dal direttore di Avvenire Marco Girardo, al direttore di Tv2000 Vincenzo Morgant , fino al direttore dell’Agenzia Sir Amerigo Vecchiarelli - è giunto quindi l’invito al perseguimento della verità dei fatti, ad evitare il sensazionalismo, alla promozione del giornalismo di prossimità (il consumare la suola delle scarpe), all’approfondimento per permettere di comprendere le notizie, alla lotta al linguaggio di odio che invece spopola sui social, alla mitezza come registro, alla ricerca di storie positive, fino alla qualità più che alla quantità delle notizie (rispetto a quest’ultimo punto – per onestà intellettuale - occorre che l’intero settore abbandoni la logica del precariato legato ai pagamenti del lavoro a pochi euro). Ma in un mondo segnato da violenza, interessi economici, frenesia che sembra semplificare fino ad annientare la riflessione, nel mondo della comunicazione i media cattolici hanno un “vantaggio”: hanno chiaro il “Messaggio” e per “Chi” operano. Non possono dunque cedere alle logiche di mercato, all’agenda dei temi dettata dagli algoritmi, alla bulimia dei clic. Tutto il settore della comunicazione deve inoltre guardarsi anche dai rischi legati all’A.I.ben indicati dalla dottoressa Carrozza del Cnr che, senza demonizzare l’A.I. che ha delle potenzialità positive enormi, ha posto dei temi urgentissimi come la necessità di investire risorse pubbliche sulla ricerca nell’A.I., perché oggi l’A.I.. è dominio di pochi colossi privati, in particolare di Usa e Cina, di soggetti molto lontani dai valori liberal-democratici europei. Regolamentare dunque non basta: la miglior difesa dell’Europa devono essere gli investimenti in scienza, cultura, ricerca.

Queste sono le armi in cui l’Ue deve investire. Il tutto anche tenendo conto di un aspetto fondamentale: la proprietà dei dati, che l’ A.I. immagazzina e alla quale - ogni qualvolta la usiamo - noi deleghiamo gratis (anzi in qualche caso anche pagando) i nostri dati e la nostra proprietà intellettuale. Le nostre conoscenze. I nostri obiettivi raggiunti. E il mondo dell’informazione, baluardo della democrazia, non può e non deve ignorare, senza portarli al centro della riflessione interna al settore ed esterna, nella società, questi aspetti. Tutto questo per dirsi che cosa? Forse che essere credenti non è più sufficiente. Occorre essere credibili. Consapevoli che, come diceva Sant’Agostino, (a lui viene attribuita questa frase), “la speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle”.
* Componente dell’Ufficio diocesano per le Comunicazioni sociali
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