Chiesa
Lunedì 11 Aprile 2011
Il “pozzo di Andrea” diventerà realtà
Sorgerà in Etiopia in memoria del 15enne travolto da un’auto
C’è qualcosa al di là della gioia, e c’è qualcosa al di là del dolore. Mi trovo a Peschiera Borromeo, a casa della famiglia De Nando: manca soltanto Andrea. Non c’è. E non tornerà. È morto poco meno di tre mesi fa. Ucciso in modo crudele: da un’auto in corsa, mentre lui attraversava sulle strisce bianche, sicuro, sereno, consapevole, con il semaforo pedonale verde. Andrea aveva 15 anni e un futuro che occhieggiava alla sua bellezza: slanciato, biondo di capelli, occhi azzurri e trasparenti, le agenzie di moda lo pressavano per averlo come modello, ma a lui importava soltanto una cosa: il calcio. Era difensore. Militava nella squadra del Borromeo. Era più di una promessa, e lui lo sapeva: ma da ragazzo semplice, non si dava arie; era più maturo della sua età, sempre sovrappensiero, che altri scambiavano, anche papà e mamma, per timidezza, mentre lui, probabilmente, a rileggere gli eventi, sapeva quante insidie poteva trovare non soltanto nel calcio, ma nella vita.
Vittore, Betty, Cristian
Nel soggiorno di casa De Nando si parla di tante cose oggi: della morte e, sopratutto, della vita. C’è papà Vittore, un uomo alto, composto, serio nel suo dolore come è serio nell’affrontare ogni altro suo impegno. Poi c’è Cristian, il fratello gemello di Andrea; era con lui nel momento dell’incidente: si è salvato per un pelo, e per una frazione di secondo è riuscito a salvare l’esistenza di un terzo ragazzo che attraversava la strada, sempre su quelle stesse strisce bianche - raccontavano le cronache della stampa - e con l’omino verde del semaforo pedonale; Andrea, invece, era mezzo passo avanti: nessun braccio avrebbe potuto più tirarlo indietro, né spingerlo in avanti. Suo fratello Cristian è qui: scopre oggi l’affetto di tantissimi amici, ma è smarrito, stranito; è un ragazzo sveglio, sa che questi sono sentimenti che porterà sotto braccio per tutta la vita: imparerà a conviverci, con lo stesso pudore di oggi. Non gli si deve fare fretta. Deve prendersi tutto il tempo che gli sarà necessario.
Poi c’è mamma Betty, una donna forte, intelligente, perché ella stessa sa stupirsi di questa sua forza, che è straordinaria, e che rivela un concetto, freddo quanto uno slogan, crudele come una convenzione, ed autentico quanto una verità: dal dolore può nascere una nuova gioia.
Ed è nelle idee di mamma Betty la consapevolezza che qualcosa c’è sempre, al di là della gioia e del dolore. Guardiamo una foto di Andrea: ne ritrae la sua bellezza di modello, la sua fisicità di calciatore, la sua contentezza di vivere, eppure, in uno scatto che deve aver racchiuso un suo momento di felicità, il suo sguardo è già altrove, in un luogo che soltanto lui mostrava di intuire.
Qualcosa c’è al di là del dolore; quando non resta nulla, neanche un appiglio da stramaledire o dove trovare il fondamento di una ragione: neppure un motorino, la mancanza del casco, queste cose qui, ma solo un destino cruento, inspiegabile, troppo duro. E quando non si hanno più parole, e quando non si trovano lacrime, perché si sono andate a nascondere, allora, ci si lascia cullare dagli indizi, dai segni, a cui si chiede forza, da cui si riceve coraggio.
La generosità di Andrea
Andrea De Nando era un ragazzo speciale, perché aveva saputo mantenere una dote che molti adolescenti hanno ma che, alla prima occasione della vita, finiscono per smarrire: aveva saputo restare generoso. Sapeva donare. Se incontrava un extracomunitario che chiedeva da mangiare e tendeva la mano, od offriva un paio di calze piuttosto che un accendino, ebbene, Andrea ci teneva a donargli qualcosa: era impensabile per lui non offrire agli altri quello che si ha di proprio.
Anche durante i viaggi con la famiglia, Andrea rivelava curiosità e generosità; mamma Betty ha sempre amato il deserto, di cui le piacciono il silenzio, gli spazi immensi, la quiete della notte. Andrea rimaneva colpito, oltre che dalle bellezze naturali, anche dalla povertà. Una volta gli capitò, in una zona del Sud dell’Egitto, di vedere tante persone scalze in cammino. Chiese alla guida dove si stessero recando. E quegli gli rispose: raggiungono il pozzo d’acqua più vicino, che si trova a dieci chilometri dal loro villaggio. Andrea ne rimase molto colpito: per dissetarsi, occorreva fare tutta quella strada, e sotto un sole torrido! Gli apparve una condizione davvero inaccettabile, e, riferendosi a quei viandanti, con lo slancio di un bambino e la forza di un uomo disse alla mamma: facciamo qualcosa per loro, raccogliamo i soldi, paghiamoglielo di tasca nostra, ma questa gente deve avere un proprio pozzo. E siccome nelle esistenze di ciascuno c’è sempre un filo conduttore, il tema dell’acqua si rivelò una traccia permanente nella breve vita di Andrea, che già in un compito d’italiano, svolto qualche anno prima, durante le classi medie, aveva commentato la carenza idrica nel mondo. Così, per onorare la memoria del figlio, per dare seguito a quelli che si erano manifestati come suoi desideri, la signora Betty Cipollone e suo marito Vittore De Nando, con il figlio Cristian, hanno pensato di raccogliere fondi per la realizzazione di un pozzo idrico in una terra dove fosse urgente la sua necessità.
Anche in questa circostanza, si sono vissute situazioni estreme, intense talvolta, fuorvianti in qualche circostanza. Intanto, il concorso di tantissimi amici. Ragazzi e famiglie che volevano fare qualcosa per ricordare Andrea.
Poi la difficoltà di scegliere il progetto migliore, le associazioni più professionali e scrupolose nel dare figura e sostanza a questa azione di solidarietà. Appena si è sparsa la voce, mamma Betty è stata subissata di telefonate, proposte, consigli: tutti esperti in pozzi, tutti disponibili, tutti pronti a suggerire altre indicazioni.
La missione africana
Poi, con tanta discrezione, sollecitato da alcuni amici, un responsabile dell’Istituto Salesiano di Milano, dove Cristian frequenta la scuola, ha preso contatto con la famiglia De Nando. A mamma Betty ed a papà Vittore ha raccontato dell’impegno del V.I.S, un’organizzazione non governativa promossa dal Centro Nazionale Opere Salesiane. Questo organismo, la cui denominazione per esteso è Volontariato per lo Sviluppo Internazionale, ha alla sua base il carisma salesiano e la forza dell’opera missionaria di don Bosco. Gli orizzonti tra il V.I.S. e la famiglia De Nando sono stati immediatamente comuni: è nato così il progetto “Un pozzo per Andrea”.
Il paese prescelto per la costruzione è un villaggio dell’Etiopia, nella zona sud, quasi al confine con il Kenya. La situazione in Etiopia è, d’altra parte, drammatica: questo paese, infatti, ha la minore disponibilità di acqua nel mondo, e della peggiore qualità. Un singolo pozzo garantisce a villaggi con settecento residenti una risorsa fondamentale per contrastare la miseria e le malattie.
Su un conto corrente apposito, messo a disposizione dal V.I.S., che ha dedicato uno spazio speciale sulla propria homepage (www.volint.it) al progetto “Un pozzo per Andrea”, sono cominciate a pervenire tantissime offerte dagli amici della famiglia De Nando, dalla comunità cittadina di Peschiera Borromeo, da tanti appassionati sportivi che hanno preso a cuore la tragedia della fine della vita di un giovane e promettente calciatore, e da gente sconosciuta ma che ha voluto così testimoniare la propria partecipazione.
I De Nando non ricevono direttamente le offerte, che vanno direttamente sul conto indicato dal V.I.S.. Momentaneamente la cifra copre già la costruzione di un pozzo, e si pensa, allora, di finanziarne un secondo. Betty mi dice che chiunque voglia conoscere l’evoluzione di questi progetti, può scriverle al suo indirizzo di posta elettronica, che è il seguente: [email protected], e lei risponderà a tutti.
Una fascia da capitano
Ci si fa largo così in mezzo al dolore, graffiandolo, andando oltre. Vittore e Betty costituiscono una coppia unita, che ha scelto, con intelligenza, di incontrarsi solo a tratti per condividere insieme i momenti più brutti, quelli più laceranti. Si fidano così tanto l’uno dell’altra, che ciascuno fa i conti con se stesso. Vittore ha aumentato i suoi ritmi di lavoro; ha imparato a non temere più la morte: è credente, e sa che un giorno ritroverà il sorriso di Andrea. Invece, Betty vive per la realizzazione dei pozzi e ogni notte, prima di concedersi poche ore di sonno, si chiede da dove le arrivino questo impeto interiore e la forza di progettare, chiedere, partecipare e sostenere.
Nei momenti difficili, Betty si aggrappa ad una poesia. È di William Ernest Henley. Si allude alla forza interiore, al carattere indomito, ad un pozzo, e ad un’anima. I versi del poeta rispecchiano in pieno il suo tormento e la voglia di non arrendersi. Mamma Betty pensa che questo suo coraggio nell’affrontare e superare il dolore venga da più lontano, da un luogo misterioso. Come quando un corpo vola via, ma la sua essenza, pur invisibile, resta qui. E dà forza. Tanta, tanta, tantissima forza.
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