Il numero crescente

dei casi di povertà

e la risposta del Fondo diocesano

Don Iginio Passerini: «Non è possibile uscire dalla crisi cambiando le regole, magari dell’economia, senza puntare sui valori di una virtuosa convivenza civile: la giustizia, la solidarietà, la sobrietà»

Sei anni di vita. Un numero altissimo di persone e di famiglie aiutate. Il Fondo di Solidarietà per le Famiglie voluto con tempestività da monsignor Giuseppe Merisi nel febbraio 2009 sta per compiere il sesto anno di vita. E in questi sei anni ha raccolto 2.375.782 euro e ne ha assegnati 2.188.450. Si tratta di una cifra molto ingente, considerate le dimensioni della diocesi di Lodi, caratterizzata da poco più di 280 mila abitanti.

Il Fondo ha registrato il sostegno del territorio lodigiano, a partire dalla componente ecclesiale che l’ha promosso, ma è stato alimentato dal concorso determinante di cittadini, enti e soprattutto Fondazioni operanti sul territorio. È di questi ultimi giorni l’erogazione, da parte della Fondazione Comunitaria di altri 50.000 euro.

In un simile contesto, a sei anni di distanza dall’avvio dell’iniziativa, abbiamo chiesto al presidente del Fondo, il vicario generale monsignor Iginio Passerini, qualche indicazione sulla situazione e le prospettive.

A quale attesa risponde il Fondo?

«Il Fondo per le famiglie ha cercato di realizzare un percorso di solidarietà promosso dalla diocesi di Lodi attraverso una progettualità condivisa, una prossimità concreta nelle parrocchie, una positiva e feconda collaborazione con le istituzioni del territorio».

Quale è il campo specifico di intervento?

«È indirizzato prevalentemente a situazioni di disoccupazione, mentre si provvede a forme temporanee di integrazione al reddito per nuclei familiari che presentano forti riduzioni dell’orario lavorativo, oppure vivono situazioni di cassa integrazione o di particolari fragilità, correlate alla crisi in atto».

Quali sono i soggetti coinvolti?

«Il Fondo ha coinvolto diversi soggetti sociali: ecclesiali, civili, finanziari. L’iniziativa ha promosso una rete ecclesiale di prossimità».

Cosa significa?

«Sono state coinvolte direttamente le parrocchie, tanto che quasi tutte hanno accolto e presentato le domande. E abbiamo coinvolto i vicariati, che esaminano le richieste. Ci sono poi una segreteria generale e un consiglio di gestione per il coordinamento, la valutazione e l’approvazione del sostegno».

E avete lavorato anche in sinergia con le istituzioni locali.

«È vero. Il Fondo si è posto a complemento e a integrazione delle iniziative promosse sul territorio dalle istituzioni pubbliche. L’intento è stato di attivare una stretta sinergia, a tutti i livelli, con i vari organismi competenti presenti nel territorio».

E questo perché?

«Lo spirito che ha animato fin dall’inizio questa iniziativa è stato favorire quella connessione che consolida il tessuto sociale del territorio. È stata davvero un’occasione di crescita civile e di esercizio della sussidiarietà. E questa sinergia si è verificata anche dal punto di vista economico».

A cosa si riferisce?

«In molti hanno ritenuto utile e significativo contribuire ad alimentare il Fondo diocesano a favore delle famiglie in difficoltà. Mi riferisco non solo alle parrocchie e alle associazioni, ma anche agli istituti di credito, alle imprese, alle famiglie, ai singoli cittadini. E soprattutto alle Fondazioni bancarie».

La cifra raccolta è stata molto significativa. Sei anni fa addirittura inimmaginabile.

«È vero. La collaborazione ha consentito di raccogliere la considerevole somma di 2.375.782,37 euro. Ne approfitto per una considerazione importante. Un prezioso supporto per far conoscere in questi anni al territorio tutte le nostre iniziative è stato assicurato da “Il Cittadino” a cui va la riconoscenza del Fondo».

A chi è destinata l’iniziativa?

«È nata per sostenere le famiglie provate duramente dalla crisi e dalla perdita occupazionale».

Quante domande sono state accolte finora?

«1.157 domande. Ma vorrei aggiungere un aspetto importante».

Quale?

«La vera destinataria dell’iniziativa del Fondo è stata ed è l’intera comunità, chiamata a offrire risposte concrete ai bisogni delle persone e delle famiglie, a mettersi insieme per ricostruire solidarietà richiamando la responsabilità di tutti, a tornare a ragionare di economia in termini etici. E a ripensare agli stili di vita da promuovere e sollecitare quali sobrietà, condivisione, fraternità».

Quali le tipologie dei contributi?

«Sono svariate. Si tratta per la maggior parte di erogazioni a fondo perduto. Ci sono inoltre forme di micro-credito a tasso agevolato. E in qualche raro caso si è ricorso al Prestito della Speranza promosso dalla Conferenza episcopale italiana. Ultimamente si è suggerito anche il ricorso ai voucher solidali».

Cosa sono questi voucher?

«È possibile impiegare l’importo deliberato dal consiglio di gestione del Fondo per l’acquisto di voucher Inps, da utilizzare a favore del richiedente come corrispettivo del lavoro svolto, in modo che sia regolare e a determinate condizioni. Questo offre la possibilità di un dignitoso impiego del tempo in forme occupazionali, e con un maggior coinvolgimento comunitario».

L’iniziativa ha prodotto qualche frutto positivo sul territorio?

«Ha prodotto molti frutti. Le parrocchie della diocesi, oltre ad alimentare il Fondo attraverso le donazioni, hanno promosso iniziative di solidarietà integrative a livello locale, coinvolgendo e sensibilizzando al problema la comunità intera, in particolare le famiglie, i giovani e il volontariato».

In che modo?

«Sono state attivate esperienze come la costituzione di Fondi locali integrativi per famiglie o interventi di accompagnamento attraverso famiglie “tutor” che cercano di vivere la dimensione della prossimità. Si sono favoriti momenti di riflessione e di preghiera. Si è proposta in occasione di feste e circostanze particolari la sostituzione dei doni con un’offerta mirata. Si è suggerito l’impegno di offerta mensile per supportare il Fondo parrocchiale. È stata attivata, in collaborazione con gli enti locali, un’indagine per conoscere la situazione occupazionale dei cittadini. I frutti positivi sono stati davvero innumerevoli, ne potrei raccontare tanti altri».

Raccontiamoli.

«Ad esempio, si sono costituite associazioni di solidarietà o Fondi composti da singoli o da famiglie che si autotassano periodicamente, allo scopo di aiutare famiglie e persone povere presenti sul territorio. Altri si autotassano per attivare forme di sostegno economico ed accompagnamento per le famiglie segnalate dal fondo di solidarietà, in collaborazione con i parroci. E poi è stata incrementata la forma integrativa di raccolta e distribuiscono generi alimentari».

Si tratta davvero di esempi concreti.

«La costituzione del Fondo ha ravvivato nel campo della prossimità la fantasia creativa e basterebbe questo frutto a confermarne la validità».

Quali le difficoltà e quali le criticità incontrate?

«Nella valutazione delle domande pervenute al Fondo di solidarietà e nell’accompagnamento delle famiglie si assiste in buona parte dei casi a una gestione dignitosa e perfino ammirevole della condizione di disagio e di povertà».

Ma...

«Ma ci si è accorti anche di quanto bisogno ci sia di azione educativa nei confronti della povertà economica e povertà nei comportamenti. Questo per sanare fragilità quali la difficoltà a risparmiare, a pianificare il pagamento dei debiti, a organizzare il bilancio familiare. E anche per vincere le povertà comportamentali come il ricorso alla finzione, all’astuzia, all’espediente di breve respiro per ottenere il risultato sperato».

Tutto questo però richiede tempo...

«È certamente un lavoro lungo che domanda pazienza e forza di persuasione. Queste emergenze sono un’occasione di incontro e contatto con queste povertà. Offrono l’opportunità di promuovere comportamenti virtuosi che guidano chi più ha bisogno fuori dall’emergenza. E favoriscono una compiuta costruzione delle identità personali».

Sono state avanzate proposte nel dialogo con le parti sociali?

«Il consiglio di gestione del Fondo diocesano non ha mancato di sollecitare anche l’ente pubblico e le parti sociali alla realizzazione di politiche attive, alla necessità di umanizzare sempre di più il mondo lavorativo, alla realizzazione di un fisco più equo, a contrastare la logica del provvisorio e ad una maggior coesione sociale».

L’esperienza dura ormai da sei anni. Quali provocazioni intende far sentire, non solo a livello ecclesiale, in questo frangente?

«L’iniziativa della diocesi ha ulteriormente richiamato la comunità cristiana anzitutto a prendere coscienza del dovere della solidarietà. Di fronte alle difficoltà, la comunità cristiana non può mai mancare, con il proprio apporto ispirato alla dottrina sociale della Chiesa, di far sentire la propria voce. E sul fronte operativo non può permettere che si estingua la compassione, qualità tipicamente umana potenziata dal Vangelo. Per questo motivo il Fondo non offre soltanto un aiuto nell’emergenza».

Perché?

«L’iniziativa lancia un messaggio chiaro. Ha una pretesa educativa per tutte le componenti che convivono sul nostro territorio».

E qual’è il messaggio?

«Non è possibile uscire dalla crisi cambiando le regole, magari dell’economia, senza puntare su quei valori che la Chiesa stessa ha contribuito a immettere nel circuito di una virtuosa convivenza civile: giustizia, solidarietà, sobrietà».

Perché la giustizia?

«Perché risponde alla destinazione universale dei beni».

Perché la solidarietà?

«Perché chiama tutti a mettersi insieme per ricostruire un tessuto sociale più coeso e per questo più resistente alle tensioni ricorrenti».

E la sobrietà?

«La sobrietà pone un’ipoteca etica quando si ragiona di economia, per non cedere alla assolutizzazione del profitto, per riconoscere regole comuni. E per aprire anche il mercato alla logica della gratuità e del dono.È sempre più necessario ripensare agli stili di vita da promuovere e sollecitare nel segno della sobrietà e condivisione: una vita sobria, proprio perché non scontata, ha ancora qualcosa da dire, soprattutto a chi cerca fatti di Vangelo».

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