
Essere uniti nella diversità,
la lezione della Pentecoste
STASERA Alle ore 21 il vescovo Maurizio celebra la Veglia in cattedrale

«Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunciare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio». Il racconto della Pentecoste, negli Atti degli apostoli, parte dalla descrizione quasi puntigliosa dell’intero multiforme mondo radunato a Gerusalemme in quel giorno di festa. Il mondo intero con le sue lingue diverse, ma anche con le sue culture, le sue diversità, i suoi conflitti, che in un istante ha accolto la grandezza delle opere di Dio. Non perché i presenti hanno iniziato a parlare l’aramaico di Gesù, ma perchké i discepoli hanno declinato la grandezza di Dio nella diversità dei popoli. Intercettando ogni persona per riuscire a parlare nel profondo del suo cuore. Un anno fa, monsignor Paolo Bizzeti, vicario dell’Anatolia, tenne un incontro a Lodi in cui raccontò proprio di questa capacità di parlare a tutti nella diversità di ciascuno: «La nostra religione si basa sulla Parola, certo, ma questa parola è incarnata secondo le categorie culturali degli uomini. Ci sono diversi cristianesimi, uniti nella diversità, è il miracolo della Pentecoste: la sfida è sempre stata quella di creare un cristianesimo che fosse comprensibile, accettabile, vivibile dalle persone che hanno un determinato retroterra culturale». Questo ha fatto sì che la Chiesa cattolica si costruisse, a partire da quell’evento di Gerusalemme, come una e molteplice, unita nelle diversità.
Eppure, c’è un altro elemento che risuona nelle pagine del racconto di Pentecoste: sentendo parlare la propria lingua, sentendo la polifonia caotica senza riuscire subito a coglierne l’armonia, molti dei presenti «li deridevano e dicevano: “Si sono ubriacati di mosto”». Quante volte i cristiani, anche e forse soprattutto oggi, sono derisi quando cercano il confronto con chi ha opinioni o culture diverse. Un tema che ha affrontato anche Leone XIV nella sua prima omelia da Pontefice: «Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere. Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito». Ma il Papa, con la serenità di chi è animato dallo Spirito di Pentecoste: «Questo è il mondo che ci è affidato, nel quale, come tante volte ci ha insegnato Papa Francesco, siamo chiamati a testimoniare la fede gioiosa in Cristo Salvatore. Perciò, anche per noi, è essenziale ripetere: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”». Una certezza che è come la scintilla in grado di accendere il fuoco dello Spirito Santo, alimentato dall’unione fraterna, dalla frrazione del pane, dalle preghiere, come nelle prime comunità.
L’appuntamento
L’appuntamento diocesano per la Pentecoste è previsto per stasera, 7 giugno, alle ore 21 nella cattedrale di Lodi, con la Veglia presieduta dal vescovo Maurizio. In quest’occasione, tutta la diocesi rinnoverà l’impegno di preghiera per la pace: perché tutto il mondo possa ritrovare la speranza in un futuro fondato sulla fraternità e non sull’oppressione.n
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