«Don Enrico tornò dall’Argentinae ci donò un quadro fatto da lui»

Il pronipote Gianni Palestra di Codogno:«Era come un nonno, aveva sempre un sorriso e un pensiero gentile»

Don Enrico Pozzoli, il sacerdote di Senna Lodigiana che ha battezzato Papa Francesco, è stato a Codogno. Nel 1951, quasi cinquant’anni dopo la sua partenza per l’Argentina nel 1903 come missionario salesiano, don Enrico rientrò in Italia per far visita ai fratelli e ai nipoti, che l’ospitarono nella loro casa in viale Trento, davanti a villa Polenghi. Il ricordo del suo arrivo in città è nel racconto del pronipote codognese Gianni Palestra, che ha riconosciuto il volto di quel lontano zio sfogliando le pagine del “Cittadino” e ha scoperto, con suo stesso stupore, dell’intersecarsi della strada di don Enrico con quel bimbo ancora in fasce che sarebbe diventato l’attuale pontefice. «Quando don Enrico venne in Italia ero un bambino - racconta -. I miei genitori andarono a prenderlo al suo sbarco a Genova e poi restò con noi durante la sua permanenza in Italia».

La famiglia preparò una stanza dove don Enrico poteva riposare, poi, durante il giorno, la vita del missionario ricalcava gli stessi usi che era solito tenere oltreoceano. «Si alzava la mattina presto, alle tre e mezzo, quattro, e faceva la doccia con l’acqua gelata - prosegue Palestra -. Solo a pensarci, a noi bambini venivano i brividi stando a letto. All’epoca avevamo la caldaia a carbone e ci voleva del tempo prima che si scaldasse, ma lui non voleva che l’accendessimo, gli andava bene così». Poi il missionario prendeva il suo breviario e si raccoglieva da solo in preghiera prima di andare a dir messa nella chiesuola delle suore Cabrini. «Era come un nonno - lo ricorda Palestra -. A Codogno aveva pronipoti anche più giovani di me, e per tutti aveva sempre un sorriso e un pensiero gentile».

Il giorno del suo arrivo in città, don Enrico conquistò subito i figli dei nipoti facendo loro una sorpresa: «Ci portò un barattolo di latte condensato, una specie di caramella mou dolcissima - sorride il codognese -. Ci andammo matti. Figurarsi, a quei tempi non capitava tutti i giorni di ricevere un regalo e lo gustammo come una Santa Lucia inaspettata».

Prima di lasciare l’Argentina e mettersi in viaggio per far visita ai parenti, il missionario si preoccupò di portare con sé anche qualcosa da donare al padre di Palestra: un quadro con verdi alberi e uno specchio d’acqua contornato dalle montagne, che lui stesso aveva dipinto. «Lo regalò a mio padre, che si chiamava Enrico come lui - spiega il pronipote -. Mia moglie l’ha fatto incorniciare e lo teniamo in soggiorno. È un caro ricordo». Poi sospirando aggiunge: «Purtroppo mi sono rimasti solamente dettagli del suo arrivo a Codogno, perché ero troppo piccolo. Mi viene in mente la frase che ripeteva papà: “Dopo cinquant’anni è tornato”. Non erano proprio cinquanta ma quasi, e lo diceva per indicare che era passato tanto tempo. Zio Enrico è morto in Argentina dieci anni dopo, ci arrivò la lettera che era mancato». Per tenersi in contatto allora si usava inviare delle lettere, e un particolare che Palestra ripesca nella memoria è l’indirizzo al quale il padre scriveva a zio Enrico in Argentina: “Colle don Bosco. Buenos Aires”.

Laura Gozzini

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